Lio si rade la testa per combattere il patriarcato. Dovremmo rallegrarci della stupidità delle femministe 2.0? [L’Agora]

Lio si rade la testa per combattere il patriarcato. Dovremmo rallegrarci della stupidità delle femministe 2.0? [L’Agora]
Lio si rade la testa per combattere il patriarcato. Dovremmo rallegrarci della stupidità delle femministe 2.0? [L’Agora]
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Vorremmo non pubblicizzare le peggiori idiozie che ci assalgono sugli schermi, ma, dobbiamo ammetterlo: ce ne sono così tante che è difficile ignorarle. Soprattutto quando hanno un denominatore comune, grandioso Freddo e che apre tutte le porte alla falsa ribellione: al patriarcato! Quest’ultima in questi giorni trema: la cantante Lio si è rasata la testa perché “stufa del patriarcato e dello styling!”

Ballare come una donna irascibile mostrando il seno – rifatto – non bastava: il brusio doveva essere costante. E con un tocco di ideologia è ancora meglio. Comoda nel suo status privilegiato, prendere posizione non le costa nulla ma apre le colonne di un sacco di riviste femminili e programmi televisivi tanto stupidi quanto superficiali. Dove il consenso intorno allo status di vittima delle donne è totale.

Ma c’è confusione: il seno ricostruito chirurgicamente va bene, ma i capelli lunghi sarebbero simbolo di sottomissione al dominio maschile? Non capiamo bene dove finiscano e dove comincino i dettami “patriarcali” relativi all’estetica. Deve essere una geometria variabile, un po’ come la denuncia della violenza sessuale: impiccagione per i culi del spettacoloma comprensione (e silenzio assoluto) per i migranti e gli altri rappresentanti di qualunque minoranza.

Insomma, non cerchiamo coerenza nel messaggio che il cantante di “Le brune non contano per le prugne” (già all’epoca ad alta quota) voleva trasmettere: non lo troverete, semplicemente perché non lo è. Vorremmo solo dirle – se questo è ciò che vuole denunciare – che i canoni estetici non derivano dalla cosiddetta dominazione maschile ma dal tempo, dalla cultura e dalla religione, e i canoni generali della bellezza riguardano anche gli uomini che devono anch’essi sottomettersi Esso. Quanto allo sfruttamento del corpo delle donne e soprattutto delle ragazze, non possiamo che consigliarle di leggere Michel Crouscard, dove si renderebbe conto che è il capitalismo ad usarlo e non gli “uomini”. (Al che le femministe ribattono che i capitalisti sono uomini… dimenticando che lo sono anche coloro che proteggono e salvano vite umane, quindi la loro scorciatoia è speciosa.)

E se solo fosse Lio a romperli con le sue stronzate degne di un parco giochi, lo ameremmo! E invece no, siamo circondati: Sandrine Rousseau, Noémie de Lattre (anche lei ad alta quota!), Virginie Despentes, Judith Godrèche ecc… non passa giorno senza che il fantasmagorico “patriarcato” venga turbato. È ovunque, dalla questione climatica al colore del dentifricio, dall’aspetto curato delle donne ai motori a benzina.

Tuttavia, ciò che queste donne ci dicono, loro stesse sembrano non vederlo. Tutti hanno vissuto eventi traumatici: stupro, violenza domestica, sessismo. Ma generalizzano la loro esperienza personale, senza rendersene conto queste esperienze derivano in gran parte dal loro ambiente marcio, un ambiente che mescola una cultura di scuse, permissività, desiderio di abbattere tutte le norme e i meccanismi di protezione delle donne, una cultura del desiderio sfrenato ed espone a occhio nudo il libertinismo e la depravazione. . Un ambiente dove tutto deve essere permesso e, soprattutto, dove la cocaina circola liberamente, e dove il fascino erotico del potere e i comportamenti legati al denaro facile non si mescolano bene. Sì, il loro ambiente favorisce la violenza sessuale, che non possono ignorare poiché tutti lì denunciano i maltrattamenti.. Ma non lo capiscono mai, preferendo accusare il genere maschile nel suo insieme.

Particolarmente significativo è l’elenco degli attivisti e dei funzionari eletti di sinistra finiti nello scompiglio per accuse di violenza sessuale o di comportamento sessista, Adrien Quatennens, Taha Bouhafs, Thomas Portes, Éric Coquerel, Julien Baillou, ecc… E il mondo del cinema e la “cultura” non è tralasciata, di recente ne abbiamo avuto uno sguardo più che rivelatore.

Artisti che si credono pienamente titolari o attivisti che danno lezioni, sono convinti della loro superiorità morale… e come tali pensano di potersi permettere qualche deviazione. Questa è un’area della psicologia umana chiamata effetto di compensazione morale.

E allora sì, che queste donne continuino a denunciare i loro sordidi atti, che le loro stalle augustee siano ripulite da cima a fondo, ne hanno proprio bisogno. Ma dovrebbero smettere di infrangerli per noi giocando sulla fusione di “uomini della mia comunità” con “tutti gli uomini” e smetterla di invocare un patriarcato totalmente fantasioso, a mille anni luce dalla realtà.

E per mettere le cose in chiaro sul falso idillio tra sinistra e femminismo, un breve video di Alice Cordier:

Audrey D’Aguanno

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Credito fotografico: schermata Elle

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