“Il futuro è la vostra voce”: “Votare in Belgio non ha più senso, abbiamo perso la nostra sovranità nazionale”, dichiara Didier, reo confesso astensionista

“Il futuro è la vostra voce”: “Votare in Belgio non ha più senso, abbiamo perso la nostra sovranità nazionale”, dichiara Didier, reo confesso astensionista
“Il futuro è la vostra voce”: “Votare in Belgio non ha più senso, abbiamo perso la nostra sovranità nazionale”, dichiara Didier, reo confesso astensionista
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Sabato 25 maggio siamo venuti ad incontrarvi a Namur. La domanda che vi viene posta: voterete il 9 giugno? Abbiamo raccolto una quindicina di testimonianze. Alcuni, come Didier, ipotizzano e sostengono la scelta dell’astensionismo. Altri, delusi dalla politica, come Michel, difendono l’importanza di esercitare il proprio diritto di voto nonostante tutto. Ritratti incrociati.


Se si caricatura il tipico astensionista come anarchico o ribelle disinteressato alla politica, Didier è ben lungi dall’adattarsi allo stampo. Il 64enne pensionato di Namur ha riflettuto sulla scelta di non andare più a votare, l’ha soppesata e argomentata. La sua decisione è, paradossalmente, alimentata dalla sua passione per la geopolitica: “Ho un’intera biblioteca solo su questo.” Nessuna vanteria nel comunicato: quando lo invochiamo durante il passaggio della carovana del Futuro, è la tua voce in Place de l’Ange, ci mostra, come prova, l’ultimo libro che ha appena pubblicato in libreria pochi minuti prima: un saggio critico sull’onnipotenza delle multinazionali.

Il suo punto di svolta verso l’astensione dal voto risale al 2014. “Quando ho letto il Trattato di Lisbona, Egli ha detto. È una lettura che consiglio a tutti.” Il testo, votato nel 2007 dai 27 Stati membri dell’Unione Europea, riforma l’architettura delle istituzioni. Con, analizza Didier, un trasferimento di poteri dagli Stati al Consiglio d’Europa: “È lui che definisce gli indirizzi di massima per le politiche economiche, i principali orientamenti di politica economica”. Conseguenza implacabile, secondo Didier: “Tutto si decide in Europa. Non ha più senso andare a votare in Belgio. Le persone che eleggiamo non hanno nulla da dire. Guarda cosa volevano fare con gli accordi del Mercosur. Avremmo importato milioni di tonnellate di carne dal Sud America, anche se abbiamo produttori locali. Questo non ha senso.” Il Belgio, ritiene il nostro interlocutore, dovrebbe avere il proprio destino nelle mani, ispirarsi alla Gran Bretagna e riconquistare la propria autonomia nazionale.

Ex gendarme ed ex soldato, Didier è tuttavia un uomo per il quale la parola “dovere” ha un significato. Ed è perfettamente consapevole che rifiutandosi di votare tradisce il suo obbligo legale: «L’articolo della Costituzione che rende obbligatorio il voto è l’articolo 62, lo conosco bene. Ma credo che alle persone dovrebbe essere data la libera scelta. Molti paesi hanno revocato questo obbligo e non stanno peggio di noi”. E per citare i periodi di crisi politica in cui il Belgio è rimasto senza governo per 541 giorni nel 2010-2011 prima di battere il record e superare la pietra miliare dei 600 giorni (653) nel 2018-2020. Questi episodi spensero definitivamente le illusioni di Didier: “E non temo la multa che ci minacciano. Non lo capiamo comunque.” L’uomo, invece, si qualifica: “Alle elezioni comunali voterò perché voglio scegliere il mio sindaco”. Questo livello di potere, più vicino e concreto, ha più significato per lui. Cosa servirebbe allora a Didier per trovare un significato nella funzione politica ai piani alti e, forse, ritrovare così la strada per tornare alla cabina elettorale? «Paradossalmente direi la decisione di rinunciare al voto obbligatorio, perché sarebbe un modo per rispettare la libertà dei cittadini. Ma non troverai nessun politico che abbia il coraggio di farlo… Non ci credo”.


“Astenersi non è una buona idea, ho un’alternativa migliore al non votare”

Ex politico, deluso dal sistema, Michel vede un’alternativa al non voto: spuntare candidati sconosciuti, per contrastare l’onnipotenza dei presidenti dei partiti.

“I Nullisti”. Così Michel soprannomina gli astenuti. “Secondo me ne esistono due tipologie. Da una parte quelli che della politica se ne fregano e questi sono irredimibili. Ma c’è anche chi motiva la propria non azione, il proprio non voto”. Il nostro interlocutore vorrebbe convincere queste persone che astenersi dal voto… è un po’ inutile: “Nel modo in cui si effettua lo spoglio dei voti, astenersi, votare scheda bianca o invalidare una scheda, equivale a votare per il partito che vincerà senza sapere chi vincerà”.

Michel conosce bene il mondo politico, anche dall’interno. È stato un attivista, candidato a diverse elezioni a livello provinciale, eletto più volte e membro di un esecutivo per circa dieci anni prima di dirigere una pubblica amministrazione, esercitando quindi quotidianamente la professione di elettivo. Comprende la sfiducia di un certo numero di cittadini nei confronti dell’attuale sistema politico belga. “Il problema sta nell’onnipotenza e nell’onnipresenza dei presidenti dei partiti. Non hanno esistenza costituzionale, ma attraverso le loro decisioni o le loro posizioni assumono un ruolo che non dovrebbero avere”. Incaricato della composizione delle liste, della designazione o della sconfitta dei “suoi” ministri, un presidente è l’uomo o la donna più potente del suo partito e diffonde le idee e il programma nei governi mentre non è stato eletto dai cittadini, analizza Michel.

“I candidati sconosciuti non sono meno validi di quelli noti che hanno deluso”

Per contrastare quella che considera una deriva democratica, ha pensato a un’alternativa all’astensione : “I candidati collocati ai primi posti delle liste sono quelli che, per volontà del presidente del partito, beneficiano dei voti in testa alla classifica e risultano quindi eletti con certezza. Gli ultimi della lista sono i funzionari eletti uscenti che sono stati messi in questo posto visibile per consolarli o perché sono macchine vocali che alimentano la strategia del partito. Michel suggerisce di non votare per tutti questi: “Escludo anche i voti della testa di piazza, che eleggono coloro che i presidenti hanno proposto, e i sostituti, che sono creature politiche poste lì per prendere il posto di un eletto che sarebbe designato ministro, anche se non hanno votato molti voti di preferenza, e quindi non sono designati dal cittadino”.

E così Michel suggerisce agli astenuti di votare per uno o più candidati dal “ventre molle” di una lista: “Si tratta di persone che hanno fatto campagna elettorale, si sono mobilitate, senza l’illusione di essere elette. Spesso sono volti sconosciuti o poco conosciuti. Non c’è motivo di pensare che valgano meno di persone che sono già state elette e non hanno fatto quello che ci si aspettava da loro”. Se un numero sufficiente di astenuti giocasse a questo gioco, alla fine verrebbero eletti candidati non necessariamente collocati “in ordine utile”, secondo la formula consueta e rivelatrice: “Porterebbe rinnovamento e forse farebbe riflettere i presidenti dei partiti. Sarebbe più utile di un voto nullo”. Michel ha già scelto quattro nomi da una lista del partito di cui condivide le idee: “Non conosco nessuno di questi candidati, ma questo non mi preoccupa. Se si mobilitano senza speranza di essere eletti, devono essere sinceri e aderire al programma. Mi piace sceglierli tanto quanto chi non ha soddisfatto…” S.SI

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