Di fronte alle vittime dei preti violenti, il vescovato di Sion ha peccato

Di fronte alle vittime dei preti violenti, il vescovato di Sion ha peccato
Di fronte alle vittime dei preti violenti, il vescovato di Sion ha peccato
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Pubblicato l’11 giugno 2024 alle 19:34 / Modificato l’11 giugno 2024 alle 21:15

La scena è strana. Quasi paradossale. Seduto davanti a un crocifisso, il vescovo di Sion Jean-Marie Lovey fa un mea-culpa, riconoscendo, con la verifica a sostegno, che l’accoglienza delle vittime dei preti abusivi soffre di numerose disfunzioni all’interno della diocesi di Sion. Appesi alle pareti, i ritratti dei suoi predecessori sembrano fissarlo. Alcuni di loro hanno nascosto questi abusi invece di fermarli punendo i responsabili. Cosa pensano, dal loro posto, di questo vescovo che auspica un “cambiamento profondo”, una “conversione di persone, strutture, istituzioni”? Lo rispettano o lo giudicano?

Quanto sembra lontano, l’anno 2020 e l’installazione di una targa commemorativa in una cappella di Monthey da parte di Jean-Marie Lovey, per non dimenticare le vittime degli abusi sessuali commessi dai preti del cantone. Oggi le azioni non sono più simboliche. Il Vescovo di Sion ritiene che la salvezza della Chiesa richieda un cambiamento radicale. Senza di essa “potremo moltiplicare i rapporti, le verifiche, le missioni, non cambierà molto. Si tratta di accettare che un altro ci converta e questo altro, Cristo Gesù, assuma anche il volto delle vittime». A lungo screditati per tutelare l’istituzione, devono diventare la priorità della Chiesa quando affronta il tema degli abusi. Questo era anche l’obiettivo primario dell’audit avviato lo scorso novembre da mons. Lovey, realizzato dalla società Vicario Consulting e presentato martedì: dare voce alle vittime.

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