Negli Stati Uniti, da MAGA a MIGA, “Make Inflation Great Again”

Negli Stati Uniti, da MAGA a MIGA, “Make Inflation Great Again”
Negli Stati Uniti, da MAGA a MIGA, “Make Inflation Great Again”
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Alcuni politici ci hanno abituato alla manipolazione della verità attraverso astute tecniche demagogiche o attribuendo queste falsità ai loro avversari. Durante l’ultimo dibattito presidenziale americano, Donald Trump non ha mancato di farne diversi.

Mi ha particolarmente colpito una delle sue dichiarazioni sull’inflazione: quella che accusa il governo Biden-Harris di aver precipitato gli Stati Uniti in una crisi inflazionistica insormontabile. Ha poi affermato che sotto il loro mandato l’inflazione aveva raggiunto il 21% e che i prezzi di molti beni erano aumentati dal 50 all’80%. La realtà è che l’inflazione ha raggiunto il picco del 9,1% nel giugno 2022, ben lontano dal 21% dichiarato da Trump. Inoltre, solo poche categorie di prodotti, in particolare le uova, hanno registrato aumenti spettacolari come quelli menzionati.

E anche se l’inflazione ha raggiunto il picco sotto l’amministrazione Biden-Harris, la colpa non è loro. Perché, a meno che non si verifichi un collasso dell’economia o un grave shock esterno come una guerra, l’inflazione non appare nell’economia da un giorno all’altro. Proprio come non scompare dall’oggi al domani.

In generale, nei paesi con un’economia stabile, l’inflazione è raramente un problema poiché le istituzioni indipendenti e le banche centrali riescono a controllarla efficacemente aggiustando i tassi di interesse per influenzare la domanda e stabilizzare i prezzi. Nell’ultimo secolo, gli Stati Uniti hanno registrato un tasso di inflazione superiore al 5% solo in tre periodi: negli anni Quaranta, a causa della Seconda Guerra Mondiale; negli anni ’70, con la crisi petrolifera; e più recentemente, nel 2021-2022.

Le politiche monetarie delle banche centrali, come le politiche governative, richiedono tempo – spesso da 6 a 24 mesi – per influenzare l’economia. Allora da dove viene questa recente impennata inflazionistica sotto l’amministrazione Biden-Harris?

Il fattore più evidente è la pandemia di COVID-19, che ha gravemente interrotto le catene di approvvigionamento globali, esercitando una notevole pressione sull’offerta. Le misure di stimolo attuate sotto Trump, come quelle di altri governi, hanno sostenuto l’economia iniettando massicce liquidità nell’economia. Sebbene abbia evitato una crisi immediata, questa mossa ha anche amplificato la domanda in un momento in cui la produzione globale era lenta. Con tassi di interesse reali negativi e aiuti finanziari diretti alle famiglie, l’economia ha visto un’esplosione della domanda di beni, ma l’offerta non è riuscita a tenere il passo, creando una forte pressione inflazionistica.

Un terreno fertile per l’inflazione

Quando Trump entrò in carica nel 2017, l’economia americana stava già andando bene, con una bassa disoccupazione e un’inflazione controllata. Il PIL stava crescendo e l’S&P 500 era appena aumentato di quasi il 10% nel 2016. Tuttavia, la sua riforma fiscale del 2017, di cui hanno beneficiato in gran parte le imprese e le famiglie benestanti, ha rilanciato un’economia già prossima al surriscaldamento. Mentre la Federal Reserve tentava di normalizzare i tassi di interesse per evitare un surriscaldamento, la riforma fiscale di Trump ha alimentato una maggiore domanda, un terreno fertile per l’inflazione.

È importante sottolineare che questa riforma fiscale ha ridotto significativamente le entrate fiscali del governo, ampliando così il deficit di bilancio in un momento in cui l’economia non necessitava di tale stimolo. La misura ha accentuato gli squilibri macroeconomici e ha posto le basi per un aumento dei prezzi molto prima che scoppiasse la pandemia.

A ciò si aggiunge la guerra commerciale che ha avviato contro diversi partner degli Stati Uniti, in particolare la Cina. Una delle decisioni più importanti di questo periodo fu l’imposizione di dazi su centinaia di miliardi di dollari di beni cinesi. Queste tariffe hanno avuto un effetto diretto sui prezzi, perché quando le importazioni diventano più costose, le aziende americane scaricano il conto sui consumatori – un altro terreno fertile per l’inflazione.

Anche se Trump ha spesso affermato che è la Cina a pagare per queste tariffe, la realtà è che sono soprattutto le imprese e i consumatori americani a farne le spese. In questo contesto, l’affermazione che l’inflazione sia interamente dovuta al governo Harris-Biden appare fallace.

Sebbene alcune misure recenti abbiano prolungato le pressioni inflazionistiche, in particolare nuovi piani di stimolo e investimenti pubblici, è importante ricordare che le radici di questa inflazione risalgono a decisioni prese ben prima dell’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca. L’attuale inflazione è quindi molto più il prodotto di un groviglio di fattori economici e politici, a cavallo tra diversi governi, piuttosto che una semplice conseguenza delle azioni intraprese dall’attuale leader degli Stati Uniti.

L’economia è un meccanismo complesso. Le decisioni prese oggi spesso hanno effetti solo dopo diversi anni.

La buona notizia è che l’inflazione è finalmente tornata all’obiettivo delle banche centrali compreso tra l’1 e il 3%. Non importa quale candidato vinca le elezioni presidenziali americane di novembre, nessuno di loro può davvero rivendicare la responsabilità di questo miglioramento. In realtà, le banche centrali sono riuscite a controllare la situazione evitando di alimentare il fuoco con politiche eccessivamente energiche, stabilizzando così un surriscaldamento iniziato negli ultimi anni.

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