Di Hamidou ANNE –
Con la risoluzione 79/230 della sua 79esima Assemblea Generale, l’ONU ha annunciato la rimozione del Senegal dalla lista dei Paesi meno sviluppati (PMS). Il culmine di un lungo processo, che ha richiesto diversi rapporti di valutazione; nel 2018, nel 2021 e nel marzo 2024. Così, durante gli sconvolgimenti e le agitazioni dell’agenda politica, alti funzionari che un ignorante chiama “il sistema”, hanno lavorato seriamente per lo Stato e in nome dell’interesse generale. Nella sua risoluzione, l’Assemblea delle Nazioni Unite annuncia che il Consiglio economico e sociale ha sottoscritto la raccomandazione del Comitato per la politica di sviluppo di eliminare il Senegal dalla categoria dei paesi meno sviluppati.
In francese, il Senegal ha fatto passi da gigante sul piano economico.
Siamo lontani dalle vanterie dei nuovi arrivati che vedevano solo rovina e desolazione come risultati di un “sistema” che sfugge alla loro vacuità intellettuale.
Il documento ci informa inoltre “che un periodo preparatorio di cinque anni era necessario per tutti i paesi raccomandati per la laurea durante la revisione triennale del 2024, in modo che potessero prepararsi efficacemente per una transizione graduale”.
Un quinquennio comincia così a segnare definitivamente la transizione del Senegal da Paese povero a Paese a medio reddito. Infine, l’Onu dichiara che “per un Paese, il fatto di essere escluso dalla categoria dei Paesi meno sviluppati è un evento epocale, il che significa che ha fatto buoni progressi verso il raggiungimento almeno di parte dei suoi obiettivi di sviluppo”.
Questa grande notizia celebra soprattutto il buon andamento di uno Stato negli ultimi dodici anni.
Innanzitutto lo sviluppo e l’attuazione di una visione sulla trasformazione strutturale dell’economia, con una società unita in uno Stato di diritto, forza trainante del Pse.
Soprattutto, c’era la visione di uno statista, che incarnava la leadership e faceva affidamento sulle eccellenti risorse umane dell’amministrazione senegalese per costruire un progetto sociale il cui obiettivo era la trasformazione radicale del volto del Senegal.
Intorno a una visione di progresso, a ventisette progetti e diciassette riforme, e all’evidenziazione di sei battaglie settoriali da vincere, i risultati sono tangibili, al punto che la critica è facile, perché concisa e a basso costo, mirata piuttosto a “il bilancio immateriale”, un’antifona ripetuta da piccoli esperti per non dire praticamente nulla.
Il presidente Wade, con il quale non ero in sintonia, aveva ragione a chiamare i senegalesi al lavoro. È attraverso uno sforzo continuo, lontano dai rumori e dagli eccessi degli adulti che vivono su Internet e dalle intrighi degli accoglienti salotti al mare, che trasformiamo il nostro Paese. Un leader non si lascia intrappolare nelle liti dei droghieri e nei battibecchi sul sesso degli angeli; non passa la maggior parte del suo tempo a insultare i suoi avversari e a minacciare di mandarli a “marcire in prigione”. Dovrebbe mostrare meno fiducia nell’invettiva che nell’espressione di una visione seria, che supera il tempo dei suoi mandati. Impugnare una scopa per sfiorare i vicoli sabbiosi non può essere l’orizzonte insuperabile della politica. Prestarsi ad essa in maniera curiosamente ostentata, in una godibile costanza che rasenta l’ozio, solleva interrogativi: è ammettere la propria incomprensibile mancanza di cultura, la propria straziante ignoranza della nostra Storia, la propria imperdonabile incapacità nel comprendere questa Nazione la cui responsabilità è essere in prima linea nei cambiamenti del mondo.
La rimozione del Senegal dalla lista dei paesi meno sviluppati è sicuramente un’ottima notizia. Tuttavia preoccupante, se consideriamo il nostro contesto. Resta ora da continuare il lavoro durante il periodo di prova per posizionare definitivamente il nostro Paese sulla rampa di emergenza.
Inoltre, da parte mia, la decisione dell’ONU richiede tre letture.
Innanzitutto, è la sanzione positiva di una politica portata avanti per dodici anni, con audacia e coraggio, per trasformare la struttura della nostra economia, per allontanarsi dal mantra miserabilista della riduzione della povertà e verso un’ambizione di decollo economico in ambito sociale. inclusione e solidarietà.
La mia seconda lettura riguarda la scelta di restare all’interno di un quadro democratico che sancisca la pluralità delle opinioni. È ormai comune leggere dagli intellettuali e da alcuni scrittori vari che la democrazia non favorisce il progresso economico.
Spesso il modello ruandese viene agitato oscurando molti parametri e, soprattutto, banalizzando l’inferno dell’autoritarismo per chi lo vive. Questa falsa verità che alimenta tutti gli eccessi e i colpi di stato nel Sahel ha una grave responsabilità per lo stato dei nostri paesi.
Gli intellettuali, con totale irresponsabilità, celebrano i colpi di stato in nome dell’illiberalismo o, peggio, dell’antifrancese. Il Senegal sta progredendo mantenendo un quadro democratico imperfetto ma solido. Per convincerci della rilevanza della nostra scelta, dobbiamo dare uno sguardo ai servitori russi del Mali, del Burkina Faso e del Niger… Il Senegal è riuscito a evitare la pericolosa strada intrapresa dai nostri vicini del Sahel. Conferma inoltre che gli investimenti privati, motore della crescita, necessitano di stabilità politica e sicurezza giuridica. Il Senegal offre entrambi gli aspetti, in linea con la scelta fatta a favore della democrazia, che non può tollerare l’insurrezione come mezzo per prendere il potere.
Infine, il mio ultimo pensiero va ai teorici dello “Stato in rovina”. Chi ha avuto la delicatezza di non festeggiare il primo barile di petrolio o il primo metro cubo di gas e tanto meno la messa in servizio della Brt. Le stesse persone che hanno messo in guardia il mondo dalla manipolazione dei conti pubblici da parte della loro stessa amministrazione vedono ogni giorno la loro retorica contraddetta dai fatti. Ma come Sisifo, non si stancano mai di cercare di insudiciare il nostro Paese. Lo amano nel profondo?
Ultima prova finora, lo stupefacente comunicato stampa del ministro che si potrebbe dire estraneo agli affari del suo Dipartimento. Lei considera “accuse” il comunicato stampa che porta la buona notizia dell’ONU, nel tentativo di screditare il suo Paese e negare il suo progresso economico. Chi immagina che il governo cambogiano emetta un comunicato stampa per contraddire l’ONU e negare un progresso economico riconosciuto dall’unica organizzazione al mondo a vocazione universale? Non ci avranno risparmiato nulla, e questo è solo l’inizio… Come dicono i vellutati inglesi: “Lo spettacolo deve continuare”.
Post scriptum: Ho un pensiero per Mamadou Moustapha Bâ, che ha servito il nostro Paese con talento, impegno e lealtà. Questo immenso servitore dello Stato senegalese avrebbe meritato di apprendere questa bella notizia. Insieme ai suoi collaboratori, ha gestito i nostri conti pubblici con una destrezza che ha costruito un’economia senegalese post-Covid-19 resiliente e ormai conquistatrice.
[email protected]