TESTIMONIANZA. Sbarco: “Non potevamo essere contenti della Liberazione”

TESTIMONIANZA. Sbarco: “Non potevamo essere contenti della Liberazione”
TESTIMONIANZA. Sbarco: “Non potevamo essere contenti della Liberazione”
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Di Editoriale La Presse de la Manche
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4 maggio 24 alle 19:16

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È un rara testimonianza. Teresa Sehier93 anni, racconta come ha vissuto lo Sbarco, in 1944. Ce la racconta questa residente della casa di cura Saint-François, a Barneville-Carteret (Manche). ricordi di questo momento storico con il regista Patrick James (C’è la mela) alla presenza di France Costa-Torro, presidente dell’associazione culturale Le Kiosque des Dunes.

“Ho ancora il rumore nelle orecchie”

“Avevo 13 anni e mezzo al tempo dello Sbarco. La mamma, sempre alzata molto presto, aveva molto lavoro a casa. Fu sorpresa di vedere nel cielo paracadutisti, razzi lanciati. Ha svegliato mio padre Eugene alle 6 del mattino. Quando mi sono alzato, ho visto dalla finestra dei soldati con l’edera sugli elmi. Sono arrivati ​​nel cortile. Con mia nonna, le mie sorelle ci nascondevamo al posto di una botte, ma gli americani ci dicevano di andarcene perché era troppo pericoloso», ricorda Teresa.

“Mio padre aveva scavato a trincea . Tutta la famiglia e i vicini rimasero lì per tre giorni e tre notti, senza mangiare né bere. Erano 18! Mio padre aveva messo un panno bianco all’estremità di un bastone e diceva continuamente “famiglia, famiglia”. I soldati stavano combattendomischia nei campi. »

Questo novantenne racconta anche come tutto è quasi cambiato, come le loro vite avrebbero potuto finire.

“Siamo stati quasi uccisi”

“Siamo arrivati ​​a Sainte-Mère-Église dove siamo stati quasi uccisi. Dormivamo sulla paglia. È stato bello, abbiamo aperto la porta. Arrivò un americano con il suo fucile. Ci ha messo tutti in cerchio, continuava a contarci. »

E aggiunge: “Ha portato mio padre e mio cugino fuori dal cerchio, li ha portati sulla strada, ordinando loro di stare con le braccia alzate. Ad un certo punto mio padre fece cenno a mio cugino di scappare. Mio padre è riuscito a saltare una recinzione. E’ caduto in un avvallamento. È tornato a casa bagnato fradicio, siamo stati felici di rivederlo», spiega sorridendo.

Il regista fa poi rivivere questa testimonianza di uno degli eventi più cruciali della storia francese chiedendosi se lo Sbarco sia stato un momento gioioso per chi lo aveva vissuto. “Non potevamo essere felici alla Liberazione, c’era troppi morti intorno a noi. Le case continuavano a bruciare. Pensavamo solo a salvarci”, risponde.

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“Mi ha chiesto di portare il suo fucile, avevo paura”

Teresa racconta il tornare alla vita , dopo lo Sbarco: “La mia pia madre faceva dire delle preghiere. Dopo 17 giorni, abbiamo trovato il ns casaad Amfreville completamente distrutto. Le tende svolazzavano nel vento. Sentivamo ancora gli spari. Gli americani erano ovunque e poteva essere pericoloso. Una volta, ricordo, andavamo a mungere le mucche nei campi con mia sorella. Correvamo con le nostre lattine a chiedere aiuto perché c’erano gli americani. Un cugino osservava la nostra mungitura. Eravamo segnati, ma non ci siamo mai lamentati. Ricordo questa frase di mia madre: “Ricominciamo, siamo tutti qui, questo è l’importante. » La vita tornava a poco a poco. Ci sono voluti due anni prima che tutto tornasse alla normalità. Dormivamo nella stalla. Non può essere dimenticato. »

Dalla nostra corrispondente Chantal LECLERC

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