Hans Josephsohn è sotto i riflettori al Museo d’Arte Moderna di Parigi, che gli dedica una retrospettiva, la prima in Francia. Morto a Zurigo nel 2012, all’età di 92 anni, l’artista ha dovuto attendere l’inizio degli anni 2000 per raggiungere finalmente il successo internazionale.
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3 dicembre 2024 – 09:55
Avrebbe potuto essere un grande personaggio di un romanzo, poiché la sua vita è burrascosa, costellata di eventi felici e amari, ricca di amori femminili e di opere artistiche che fanno di lui uno degli scultori svizzeri più talentuosi. Hans Josephsohn, ecco di chi stiamo parlando, è in mostra al Museo d’Arte Moderna di Parigi. Fino al 16 febbraio si terrà una retrospettiva della sua opera, la prima in Francia.
Esposto regolarmente in Svizzera e Germania dall’inizio degli anni 2000, Hans Josephsohn, la cui notorietà è tardiva, è poco conosciuto in Francia; e ancor meno negli Stati Uniti dove nessuna delle maggiori istituzioni americane gli ha dedicato finora una retrospettiva.
Approfitta della visibilità
La prima mostra monografica a lui riservata, fuori dalla Svizzera e dalla Germania, si è tenuta allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 2002. «Era ora di dare a Josephsohn lo spazio che merita a Parigi, al Museo d’Arte Moderna, essendo la nostra missione quella di raggiungere ad artisti che non hanno beneficiato di grande visibilità da noi”, confida Jessica Castex, curatrice della mostra presso il suddetto museo.
Il Museo d’Arte Moderna di Parigi dedica la prima mostra in terra francese allo scultore svizzero Hans Josephson.
Pietro Antonio
Insieme a Cornelius Tittel, redattore capo della rivista d’arte “Blau International”, e Albert Oehlen, pittore tedesco, cura questa retrospettiva che riunisce sculture in gran parte provenienti dalla Kesselhaus Josephsohn di San Gallo. Creato nel 2003, questo luogo emblematico è diventato nel tempo un’istituzione in cui sono conservate le opere e gli archivi dello scultore svizzero.
Hans Josephsohn aveva circa 18 anni quando arrivò a Zurigo. Corre l’anno 1938, il nazionalsocialismo preoccupa l’Europa. Josephsohn è ebreo. Nato nel 1920 a Königsberg (Prussia orientale), crebbe nella Germania nazista, dalla quale inevitabilmente fuggì. “Gli è vietato entrare in una scuola d’arte in Germania. I suoi genitori lo hanno poi incoraggiato ad andare in Italia. Borsista, entrò all’Accademia di Belle Arti di Firenze, ma ben presto fu costretto a lasciare il Paese a causa delle leggi razziali decretate dal regime fascista”, racconta Jessica Castex.
Inizi difficili
Indigente al suo arrivo in Svizzera, senza soldi, senza conoscenza del luogo, Josephsohn non si arrese. “Bussa alla porta del noto scultore svizzero Otto Müller”, sottolinea Jessica Castex. Otto gli fornisce un primo, preziosissimo supporto. Lo formerà e rafforzerà l’idea che è un vero scultore.
Altri supporti arriveranno più tardi, forniti da artisti svizzeri di diverse discipline, tra cui l’architetto Peter Märkli. “È lui all’origine de La Congiunta, un luogo accogliente, situato a Giornico (Ticino), che oggi ospita un gruppo scultoreo di Josephsohn”, precisa il curatore.
L’amicizia guarisce le ferite. Jürg Hassler, regista ammiratore di Josephsohn, ha dedicato a quest’ultimo un documentario uscito nel 1977 con il titolo “Josephsohn, Stein des Anstosses”. Proiettato nell’ultima sala della mostra, il film accoglie le confidenze di Josephsohn. Parlare allevia! Scopriamo così la vita dell’artista, la sua adolescenza, i suoi fastidi, i suoi inizi difficili.
Proveniente da una famiglia borghese, il futuro scultore vide i suoi genitori impoverirsi e preoccupati per l’ascesa del nazismo. Arrivano addirittura a proibirgli di giocare fuori con i suoi amici.
Donne esili e forme massicce
Potremmo vedere nelle sculture (in gesso) di Hans Josephsohn (principalmente sagome e figure femminili) una recrudescenza dei suoi traumi. Le donne esili e slanciate degli anni Cinquanta furono sostituite da corpi e volti grossi dove i lineamenti (bocca, occhi, naso, ecc.) scomparivano, lasciando il posto a una massa indefinita. Uno sfregio insomma.
Opera dello scultore svizzero Hans Josephsohn esposta al Museo d’Arte Moderna di Parigi.
Pietro Antonio
Jessica Castex offre una lettura diversa dell’arte di Josephsohn. E precisa: “Nella sua opera non c’è nessuna storia, nessuna narrazione storica o psicologica. Hans non lavorava sui ritratti, quello che voleva era trasmettere una presenza”.
La presenza nella prima stanza di una donna in piedi e snella è una “reminiscenza della silhouette” di Mirjam Abeles, la prima moglie dello scultore. Quando lo scopriamo all’inizio della mostra, pensiamo subito a Giacometti. Tuttavia Josephsohn non incontrò mai il ticinese. “Ma era necessariamente imbevuto della cultura dell’epoca, anche se non ha mai avuto un padre spirituale o un mentore”, spiega Jessica Castex.
Hans Josephsohn si ispirò fortemente ad Alberto Giacometti, senza mai incontrarlo.
Pietro Antonio
Le avanguardie
Una domanda assilla il visitatore: perché Josephsohn non ha conosciuto la fama mondiale di Giacometti? “Perché a differenza di quest’ultimo, non ha vissuto e lavorato a Parigi, dove l’appartenenza a un gruppo d’avanguardia all’inizio del secolo scorso ha contribuito al lancio di una carriera internazionale”, osserva Jessica Castex.
E aggiunge: “Lo stesso Josephsohn non cercava collegamenti con le avanguardie. La sua fonte di ispirazione era l’arte antica, egiziana e assira. Nemmeno lui stava inseguendo il riconoscimento. Metteva tutta la sua energia nel lavoro in officina. Era un rito quotidiano a casa sua. Il suo viaggio solitario suscita ammirazione. Fu solo all’inizio degli anni 2000 che la sua notorietà internazionale decollò. Lo deve al gallerista zurighese Bob van Orsouw.
Testo riletto e verificato da Samuel Jaberg
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