Il cinema israeliano sopraffatto dalla guerra

Il cinema israeliano sopraffatto dalla guerra
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In Il disertore di Dani Rosenberg, Shlomi è un giovane che decide, per capriccio, di fuggire dall’esercito, per raggiungere ufficialmente la sua ragazza che lavora in un ristorante a Tel Aviv, e dovrà restituire la sua fuga sempre più clandestina, sapendo che è ricercato dall’esercito, che sospetta un rapimento da parte di Hamas, e che la sua scomparsa inizierà a interessare i media.

La stessa famiglia di Shlomi è divisa: se la consigliassimo, la supplicassimo di arrendersi o, al contrario, fossimo comprensivi con il suo desiderio di fuggire dalla guerra e dalla sua assurdità, idea che andrebbe oltre i giovani soldati, ricordiamoci che il servizio militare è obbligatorio in , anche per le donne. Il regista Dani Rosenberg voleva mettere in discussione lo sciovinismo e il militarismo del suo paese, a volte senza sfumature, ma non aveva previsto che il suo film sarebbe stato così influenzato dalle drammatiche notizie degli ultimi mesi.

Dopo i senzatetto, le prostitute del Bois de Boulogne e gli elettori di Trump in Arizona, Claus Drexel piazza la sua macchina fotografica dove generalmente distogliamo lo sguardo. Dire Vecchio, e non gli anziani, è già un segno di empatia verso questi anziani, un barone, ex minatori, un’infermiera corsa, contadini, un sopravvissuto ai rastrellamenti nazisti a Parigi, è un giro nella Francia della vecchiaia che stiamo vivendo fare con questo film.

Hanno vissuto la guerra, i Trente Glorieuses, hanno amato, sofferto, dietro l’apparente banalità della loro vita, pepite, storie tragiche o divertenti, e una familiarità con la morte che si avvicina. Inquadrature fisse, silenzi mantenuti durante il montaggio, parole senza filtro, Claus Drexel ha saputo catturare la vita di queste persone, molto semplicemente.

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