NARRAZIONE – La megalopoli, vetrina internazionale della Cina, stenta a riconquistare la sua energia cosmopolita in un momento in cui Xi Jinping sta riprendendo il controllo centralizzato.
- Inviato speciale a Shanghai
Sulla terrazza affollata del Polux, la tartare di manzo di Paul Pairet è sempre un successo da Xintiandi. La lingua di Molière si scontra con il mandarino o l’inglese sui tavoli del bistrot retrò dello chef stellato Michelin, offrendo un sapore parigino decisamente cosmopolita nel cuore di Shanghai. Turisti e viaggiatori d’affari stanno tornando nella più grande metropoli della Cina, messa sotto lockdown durante la pandemia. “Sta tornando! C’è gente che arriva da Parigi,” esulta Pairet, che gestisce tre locali in città e vede la fine del tunnel con un sorriso goloso.
Il suo bistrot era diventato un rifugio per la comunità francese ai tempi di Zero Covid, ma la sua iconica brasserie Mr&Mrs Bund, a ridosso degli scintillanti grattacieli di Pudong, fatica ancora a ritrovare la velocità di crociera in attesa di visitatori da tutto il mondo che una volta affollato lì. Al piano superiore, il leggendario “Bar rouge” e la sua vertiginosa terrazza affacciata sul fiume Huangpu, tappa obbligata ai tempi dello spaventoso decollo cinese, ha chiuso i battenti. Come “M on the Bund” che domina le banchine della metropoli di 23 milioni di abitanti, di fronte al quartiere degli affari, istituzione dalla quale il boss australiano ha gettato la spugna.
A simbolo dell’orizzonte sempre più ristretto di Shanghai, vetrina internazionale della Cina comunista e polmone della seconda economia mondiale, costretta a voltare le spalle al mondo in un momento di ripresa ideologica imposta dal presidente Xi Jinping. E che cerca di riconquistare la sua attrazione globale nonostante il rallentamento cinese, il dirigismo di Pechino…
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