Mentre i conducenti di VTC si mobilitano per uno status migliore e per il miglioramento delle loro condizioni di lavoro, a che punto è la legge? Se le sentenze, in Francia e all’estero, hanno già consentito di avvicinare la loro situazione al lavoro dipendente, per i lavoratori Uberizzati non tutto è ancora certo.
Negli ultimi giorni si sono moltiplicate le operazioni delle lumache e gli scioperi degli autisti dei VTC. Per loro si tratta di denunciare le commissioni considerate abusive e di esigere una migliore remunerazione e controllo del numero degli autisti per regolamentare l’attività.
Queste mobilitazioni avvengono in un contesto in cui l’occupazione salariata è minata dalla galoppante Uberizzazione dei posti di lavoro, che contribuisce a creare una grande precarietà dei dipendenti di piattaforme come Uber, Deliveroo o Lyft. Nel 2022, in Francia erano 230.000 i lavoratori attivi delle piattaforme digitali, tra cui 179.200 autisti di consegne su due ruote e 52.700 autisti di auto da trasporto con autista (VTC).
Nel 2022, il 3% degli europei ha dichiarato di aver lavorato su una piattaforma digitale negli ultimi 12 mesi. Verrebbero colpiti 28 milioni di posti di lavoro, di cui solo il 7% sono dipendenti, rispetto al 93% di lavoratori autonomi. Questi lavoratori svolgono compiti per i clienti con i quali sono collegati tramite una piattaforma digitale.
Se questi lavoratori possono optare per status diversi, è quello di microimprenditore quello più utilizzato, perché più semplice e flessibile. Inoltre, in Francia, il numero dei microimprenditori è aumentato. A fine giugno 2023 la rete Urssaf contava 2,7 milioni di lavoratori autonomi amministrativamente attivi, ovvero 215mila in più in un anno (+8,6%). Ciò avviene dopo un rallentamento osservato a partire dal terzo trimestre del 2021 (+12,0% su base annua a fine giugno 2022) dato il ritmo sostenuto delle cancellazioni. Un rapporto del Senato indica anche:
“Lo status molto flessibile del lavoratore autonomo e poi del microimprenditore potrebbe aver creato un divario nel quale le piattaforme si sono precipitate per liberarsi dai vincoli legati all’occupazione. »
Al confine del lavoro nascosto, i lavoratori delle piattaforme soffrono sia della precarietà dei loro diritti sia di compiti ripetitivi e ingrati, paragonabili al “micro-lavoro”.
La necessaria tutela dei lavoratori delle piattaforme
Il funzionamento delle piattaforme mette in discussione il legame che le unisce ai lavoratori e la possibile subordinazione che viene posta in essere. Per evitare uno squilibrio nei diritti dei lavoratori, il quadro giuridico, sia in Francia che in Europa, si sta orientando sempre più verso la tutela di questi lavoratori e mirando a organizzare una presunzione di occupazione. Il lavoro retribuito offre infatti diritti sociali molto più protettivi rispetto allo status di lavoratore autonomo.
Così, in Spagna, dal 2018 e per la prima volta in Europa, un tribunale ha riclassificato i lavoratori di Deliveroo come dipendenti e, il 12 agosto 2021, la legge “Riders” ha automaticamente presunto che i dipendenti fossero dipendenti di tutti i corrieri di piattaforma in Spagna.
In Francia, anche la Corte di Cassazione si è pronunciata nel 2018 sui rapporti contrattuali esistenti tra i corrieri e la piattaforma Take Eat Easy, ritenendo che esista un legame di subordinazione. Nota che la geolocalizzazione va oltre la semplice connessione e che i ritardi nelle consegne sono sanzionati dalla piattaforma.
Allo stesso modo, con decisione del 4 marzo 2020, la Corte di Cassazione ha riqualificato il rapporto di un autista VTC con la società Uber come contratto di lavoro. In questa sentenza “Uber”, la Corte di Cassazione ha rilevato in particolare l’impossibilità per l’autista di stabilire una propria clientela, di fissare liberamente le proprie tariffe e le condizioni di svolgimento del proprio servizio di trasporto.
La Corte d’appello di Parigi è andata nella stessa direzione nel luglio 2022 condannando la società Deliveroo per lavoro clandestino e atti di molestia morale dovuti ai suoi metodi manageriali.
Altre decisioni, invece, non sono state favorevoli al riconoscimento del rapporto di subordinazione. In questo caso, il giudice ha ritenuto in particolare che il lavoratore era in grado di disconnettersi, di effettuare acquisti per proprio conto, di organizzare i propri acquisti, e che il sistema di geolocalizzazione inerente al funzionamento di una piattaforma non era quello di monitorare l’attività dell’autista, ma di consentire l’assegnazione dell’autista più vicino al cliente.
Verso un controllo proporzionale?
C’è quindi la volontà di valutare il rapporto di subordinazione attraverso il prisma del controllo dipendente. La nozione di geolocalizzazione è particolarmente illuminante nella misura in cui un tale sistema è possibilmente attuabile se legittimo e proporzionato all’obiettivo desiderato. Nel caso di Uber, la geolocalizzazione imposta dal funzionamento della piattaforma non caratterizza un legame di subordinazione legale degli autisti, perché questo sistema non è destinato a controllare l’attività degli autisti, ma viene utilizzato per altri scopi.
Nella sentenza Uber del 2020, la Corte di Cassazione è stata particolarmente attenta a una specifica clausola del contratto che, secondo la Corte, potrebbe indurre gli autisti “a restare connessi nella speranza di portare a termine un viaggio e, quindi, a mantenersi costantemente, per la durata del collegamento, a disposizione della società Uber BV, senza poter realmente scegliere liberamente, come farebbe un autista indipendente.” La questione del controllo viene quindi sollevata chiaramente. In questo giudizio, la parola controllare appare anche 20 volte.
Diritti chiariti
In Francia, gli articoli da D7342-1 a D7345-27 del codice del lavoro definiscono la responsabilità sociale delle piattaforme nei confronti dei propri lavoratori. Inoltre, l’ordinanza n. 2022-492 del 6 aprile 2022 “che rafforza l’autonomia dei lavoratori autonomi delle piattaforme di mobilità, organizza il dialogo sociale settoriale e completa i compiti dell’Autorità per le relazioni sociali delle forme di lavoro delle piattaforme” ha consolidato i diritti di questi lavoratori. Pertanto, non è più possibile imporre ai lavoratori l’uso di materiali o attrezzature specifici (soggetto a obblighi legali o regolamentari), ma essi hanno la possibilità di avvalersi di più intermediari, di determinare il loro percorso e di scegliere la fascia oraria della loro attività.
A livello europeo, i 27 Stati membri hanno adottato, il 14 ottobre 2024, nuove regole per rafforzare questi diritti, con l’adozione di una direttiva. Questo testo tende a facilitare la riqualificazione dei lavoratori come dipendenti determinando una presunzione legale di occupazione. Questa presunzione può essere invocata dai lavoratori delle piattaforme, dai loro rappresentanti o dalle autorità nazionali per denunciare la classificazione nella “categoria sbagliata”. Viceversa, “spetterà alla piattaforma digitale dimostrare l’assenza di un rapporto di lavoro”.
L’obiettivo della direttiva è anche quello di regolamentare la gestione algoritmica, in modo che i lavoratori siano informati sull’uso di sistemi automatizzati di monitoraggio o decisionali in materia di assunzione, retribuzione e condizioni di lavoro.
La lotta per difendere i diritti dei lavoratori delle piattaforme è lungi dall’essere finita. Nonostante una notevole evoluzione delle normative europee e nazionali, diverse questioni continueranno probabilmente ad alimentare il dibattito: la presunzione di occupazione, il dialogo sociale, il controllo e le libertà individuali di questi lavoratori al di fuori del rapporto di lavoro. Strutturare la rappresentanza dei lavoratori delle piattaforme con un dialogo sociale rafforzato potrebbe facilitare la necessaria evoluzione.