Vorremmo essere sicuri che sia stato il contesto a produrre lo spettacolo o meglio la sua assenza durante un incontro emozionante come una perquisizione corporale, ma con questi Blues impossibile. Troppo spesso e soprattutto nel 2024 si concatenano controllo, noia e tiri nel vuoto piuttosto che passaggi, cross e recuperi in una grammatica calcistica scritta al contrario. Già, Francia-Israele è sembrata a lungo una punizione per gli occhi mentre i pochi presenti non avevano fatto nulla. Il bunkeraggio dello Stade de France e l’agitazione sugli spalti subito dopo il calcio d’inizio non c’entrano molto.
Davanti ai muri bassi, senza un centrocampista capace di trovare angoli di passaggio spettacolari – senza Antoine Griezmann per riassumere -, senza un leader offensivo, i Blues restano privi di ispirazione e non regalano emozioni. Anche con i neo-ritirati agli Europei non hanno mostrato nulla di vivace, fatta eccezione per la solidità difensiva che ha permesso loro di raggiungere la semifinale. Da allora, ha battuto il Belgio due volte, diventando la vittima più abituale e familiare degli ultimi sei anni. Ma non incontrano il Belgio così spesso come vorrebbero.
Direttore d’orchestra o no, avrebbero potuto uscirne in modi molto personali, ma né Michael Olise né Bradley Barcola sono apparsi in una serata di imprese individuali o idee brillanti, indugiando davanti a un universo creativo con la bassa marea. È difficile chiedere a Randal Kolo Muani di intrattenere in questo deserto.
Il secondo periodo, dopo il torpore e la notevole debolezza del primo, apparirà più energico, soprattutto grazie ai tiri dalla distanza di Eduardo Camavinga che spezzano il raggruppamento della difesa israeliana. Ma il tutto rimarrà congelato, doloroso, raramente seducente o rivolto alla follia di un movimento finalmente illuminato, di un cambio di gioco o di ritmo anche se Warren Zaire-Emery ha quasi segnato un secondo gol per la sua sesta selezione, cosa che avrebbe fatto le sue statistiche erano piuttosto pazzesche, appena un anno dopo il suo battesimo con gli A’s.
Gli azzurri furono d’accordo con tutti coloro che non vollero venire
Cambiando schieramento a 20 minuti dalla fine, Didier Deschamps cerca di rivitalizzare un attacco perso nel pantano della sua inefficienza ma né Kingsley Coman né Christopher Nkunku, nonostante un’ultima occasione, trovano la soluzione. Stessa triste osservazione con l’arrivo di Marcus Thuram non più incisivo in asse di Randal Kolo Muani.
Francia-Israele ci ha ringiovaniti di sette anni, con una Francia-Lussemburgo (0-0) del 3 settembre 2017 che ha il sapore di un’epurazione universale e insostituibile, il pavimento delle ambizioni nel gioco e l’eccitazione nel cuore, una cosa terribile che potremmo stirarci ogni volta che abbiamo l’insonnia per dormire sonni tranquilli sotto una coperta.
Gli azzurri hanno dato ragione a tutti coloro che non sono venuti o non hanno assistito, aggiungendo alle proprie ragioni sicuramente politiche quelle calcistiche. La squadra francese non riacquisterà popolarità con così poco entusiasmo e convinzione nelle intenzioni, abbandonata al vuoto di una transizione senza dirigenti né talenti sopra la media. Questi giovani – Olise, Barcola, Zaire-Emery per esempio – non sono stati trascinati al vertice da un collettivo denso e da leader coerenti – anche se è un esempio, N’Golo Kanté non ha mai voluto essere un A. Con questo punto vedranno i quarti di finale della competizione nel marzo 2025. Per il resto, hanno diritto a regalare una grande prestazione domenica a Milano come esca per l’ultima volta prima della grande pausa di quattro mesi. Ci cambierebbe.