La stilista Coco testimonia l’attentato del 7 gennaio 2015 a Charlie Hebdo e le sue conseguenze. Nonostante il trauma, colui che è stato costretto ad aprire le porte dell’editoria ai fratelli Kouachi crede che l’umorismo e la satira restino essenziali per trascendere la morte e riprendersi.
Originaria dell’Alta Savoia, Corinne Rey alias “Coco” è cresciuta ad Annemasse, alla periferia di Ginevra. Ben presto il disegno diventa il suo mezzo espressivo preferito. Dopo aver studiato arte alla Scuola Europea d’Immagine di Poitiers, è arrivata come stagista al quotidiano Charlie Hebdo. Ha inoltre partecipato al lancio del “piccolo scrittore satirico francofono” Vigousse, realizzandone la prima copertina.
Il 7 gennaio 2015, il giorno della prima redazione dell’anno su Charlie Hebdo, Coco doveva andare a prendere sua figlia all’asilo. Esce a fumare una sigaretta. Allora è il nulla. Oscurità assoluta. Sotto la minaccia dei kalashnikov dei fratelli Kouachi, è costretta ad aprire la porta della sede di Charlie dove la redazione verrà decimata. Dodici morti che ancora la perseguitano.
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Continua a disegnare a tutti i costi
Coco, insieme agli altri sopravvissuti all’attentato, decide la settimana successiva di continuare a disegnare per il suo giornale per dimostrare che non è morto e che la libertà di espressione non è negoziabile.
«La prima cosa che ci viene, anche se non so come spiegarvelo, anche se siamo traumatizzati, anche se è molto dura, è riuscire a fare il giornale nonostante tutto. Perché se i terroristi toglieranno la libertà di espressione a chi disegna, avranno vinto e imporranno la loro legge. [le dessinateur] Riss, ad esempio, ferito e costretto a letto in ospedale, aveva voglia di rifare due disegni per questo famoso numero di Survivor, come lo chiamavamo», spiega emozionata Coco in una delle cinque interviste concesse al programma della RTS La vie àprès lo scorso novembre.
Contrastare il trauma o il senso di colpa
La designer evoca anche la sicura bolla di calma e riflessione trovata rapidamente nei locali del quotidiano Libération dove ora lavora: “Anche se c’erano molte richieste, dovevamo riuscire ad avere una bolla di lavoro. C’erano molte lettere, supporto. C’erano anche molte cose che non avevo visto in quel momento, come l’attacco all’Hyper Cacher del 9 gennaio (…) Quando ho marciato per le strade l’11 gennaio e ho visto un cartello “Sono ebreo”, non ho Non so cosa fosse perché ero ancora così preso dallo shock e volevo assolutamente fare un nuovo numero di Charlie Hebdo.
Mentre Coco ha già la sensazione che i terroristi potrebbero tornare da un momento all’altro per “finire l’opera”, ammette di essersi “chiusa ermeticamente” per contrastare l’onda ruggente di ricordi atroci, emozioni, sensi di colpa: “Concentratevi sul giornale, concentrandosi sul lavoro, cercando di disegnare, pensando ad altro. È diventato rapidamente qualcosa che mi faceva sentire bene, almeno temporaneamente. Penso addirittura che fosse l’unica via d’uscita, la più vitale. “.
Commenti raccolti da Witold Langlois
Web di adattamento: Olivier Horner