I “colori” dell’idrogeno, un discorso fuorviante per la transizione energetica

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lI sostenitori dell’idrogeno spesso lo presentano come il fulcro della transizione, in particolare attraverso metafore come i “colori” verde o blu per presentarlo in una luce decarbonizzata. La molecola ha sicuramente un ruolo da svolgere, ma spesso viene presentata in una luce troppo ottimistica. Alcuni lo vedono come blu, rosa o verde. Molti sostengono che diventerà il fulcro del nostro approvvigionamento energetico, per il riscaldamento, il trasporto aereo e su camion e persino per immagazzinare energia rinnovabile intermittente. Per alcuni rappresenta l’energia del futuro, l’energia i cui usi vari e illimitati ci permetteranno di separare le nostre economie dai combustibili fossili.

Questa meraviglia del potenziale è l’idrogeno, la molecola più piccola di tutta la chimica. È sui suoi fragili atomi che alcuni collocano il futuro energetico di interi Stati, compreso quello dell’Europa. Negli ultimi anni è stata costruita una nuova economia attorno all’idrogeno, sostenuta da piani nazionali e investimenti straordinari. Tuttavia, come mostreremo qui, questo entusiasmo si basa più sull’efficacia della comunicazione e dello storytelling che su fatti scientifici concreti.

L’impronta di carbonio XXL dell’industria dell’idrogeno

Prima di essere considerato un’opzione energetica praticabile dal pubblico e dai politici, l’idrogeno era meglio conosciuto come reagente nella raffinazione del petrolio o nella produzione di ammoniaca e metanolo. Ancora oggi la quasi totalità dell’idrogeno disponibile sul mercato, quasi 95 milioni di tonnellate, è destinato a queste applicazioni, mentre l’utilizzo dell’idrogeno a fini energetici resta marginale. Uno dei maggiori limiti dell’idrogeno è che non è naturalmente presente in quantità significative sulla Terra, tranne che in alcuni rari depositi geologici. Ciò significa che l’idrogeno deve essere prodotto prima di poter essere utilizzato.

Oggi la sua sintesi si basa quasi esclusivamente su input fossili e richiede grandi quantità di energia non rinnovabile. Attualmente la molecola è ottenuta mediante steam reforming del gas naturale, mediante gassificazione del carbone o mediante steam cracking di idrocarburi petroliferi. Questi metodi di produzione, che rappresentano le opzioni industriali più efficienti e redditizie, si basano tutti su materie prime fossili contenenti carbonio. La produzione di idrogeno dall’acqua, sebbene ben pubblicizzata, rimane ancora rara a livello industriale.

Indipendentemente dal metodo di produzione industriale attualmente utilizzato, si generano notevoli emissioni di anidride carbonica (CO2) senza essere mitigate, a cui si aggiungono consistenti emissioni fuggitive di metano lungo l’intera catena di sfruttamento di determinate risorse. fossili. Entro il 2022 supererebbero il miliardo di tonnellate, conferendo alla catena di produzione dell’idrogeno una delle maggiori impronte di carbonio dell’intero settore manifatturiero.

Una questione di narrazioni

Il settore dell’idrogeno si sta quindi costruendo in un’aura di ottimismo collettivo, nutrito da termini come “sostenibilità”, “innovazione”, “circolarità” e “autonomia”. Quest’ultimo può essere interpretato, alla luce della teoria della convergenza simbolica, come un insieme di narrazioni condivise da un gruppo sociale che vanno progressivamente auto-rinforzandosi. Al di là di questa retorica ricorrente, i difensori dell’idrogeno, siano essi industriali, membri di gruppi di pressione o attori socio-politici, cercano soprattutto di rafforzarne l’accettabilità da parte del pubblico e, in ultima analisi, di influenzare alcune decisioni normative. . Per fare ciò, usano spesso un linguaggio semplificato. Questa, adornata con colori e altri aforismi inventati da aziende private, contribuisce ad alleviare le incertezze tecniche ancora presenti. Ciò consente in particolare di allontanarsi dal dibattito sui rendimenti di conversione mediante elettrolisi dell’acqua, che sono ancora moderati. Ciò consente anche di nascondere alcuni abusi etici e ambientali, sui quali torneremo più avanti. Va ricordato che l’idrogeno, a parte i pochi giacimenti geologici disponibili, non è una fonte di energia in quanto tale: per sintetizzarlo è necessaria energia primaria.

Tuttavia, se si vuole sviluppare un settore dell’idrogeno dall’elettrolisi dell’acqua, ciò potrà essere veramente virtuoso solo se l’elettricità utilizzata sarà di origine rinnovabile (in particolare solare ed eolica) o “low carbon” (compresa l’energia nucleare). Altrimenti, se la produzione di idrogeno si basasse sull’attuale mix energetico globale, l’impatto del carbonio dell’idrogeno, attraverso l’intera catena di produzione, rimarrà elevato quanto quello dell’attuale produzione di idrogeno. da alcuni materiali fossili carboniosi. L’utilizzo dell’acqua per produrre idrogeno non deve quindi essere considerato una garanzia assoluta di sicurezza ambientale.

Produrre altrove per consumare qui?

Per produrre idrogeno con un impatto ambientale ridotto, è quindi necessario disporre di una sufficiente capacità di elettricità rinnovabile, che è gravemente carente nella maggior parte dei paesi che hanno incluso l’idrogeno tra le loro priorità per garantire la transizione energetica. Ciò è particolarmente vero per Francia e Belgio. Una soluzione ampiamente sostenuta consiste quindi nel delocalizzare questa produzione in paesi come Marocco, Algeria e Namibia, dove le condizioni solari e/o eoliche sono favorevoli. Il problema è che l’accesso all’energia e all’acqua è già limitato… Questo approccio contrasta quindi con le promesse iniziali dell’idrogeno e pone un certo numero di questioni etiche. Appare ormai chiaro che la promessa dell’autonomia energetica dell’idrogeno non è vera: si basa sull’appropriazione di risorse energetiche da paesi terzi. Soprattutto perché la produzione delocalizzata implica pensare a strategie efficaci per trasportare l’idrogeno su lunghe distanze. L’idrogeno, infatti, è un gas a bassa densità, difficile da immagazzinare e trasportare.

Crescente dipendenza dai combustibili fossili

Credere che l’idrogeno sia la soluzione definitiva ai nostri problemi energetici e climatici è quindi fuorviante e rischia di incoraggiare i consumatori a utilizzare più energia, invece di concentrarsi su una maggiore sobrietà. Il rischio sarebbe anche quello di credere che l’idrogeno sia esente da qualsiasi problema ambientale. Non è così: questa molecola ha un potenziale di riscaldamento globale abbastanza elevato, stimato intorno a 11,6 su 100 anni.

Inoltre, se la domanda di idrogeno non viene regolamentata, visti i vincoli tecnici, geopolitici ed etici che gravano sull’elettrolisi dell’acqua, la produzione di idrogeno rischia di continuare a dipendere dal carbone, dal gas fossile o dai prodotti petroliferi. E così, lungi dal allontanarci dai combustibili fossili, l’idrogeno rischia di aumentare la nostra dipendenza da essi.

Non una fonte di energia, ma una molecola

L’idrogeno non è una fonte di energia in sé, ma una molecola, che dovrebbe essere trattata come tale. Non è idoneo il suo utilizzo come combustibile per autobus, treni, oppure come combustibile per impianti di riscaldamento domestici o industriali nonché in centrali termoelettriche. In molti settori, l’elettrificazione diretta o lo stoccaggio in batterie stazionarie sono opzioni più efficienti dell’idrogeno. È tanto più deplorevole che il settore dell’idrogeno, se non dirotta gli investimenti essenziali per la diffusione delle energie rinnovabili e l’attuazione di piani di ottimizzazione energetica, abbia un potenziale reale, come ha confermato l’IPCC. L’idrogeno rimarrà quindi essenziale per la produzione di fertilizzanti a base di metanolo, ammoniaca e azoto, nonché per le reazioni di idrogenazione nei settori chimico, farmaceutico e agroalimentare.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su La conversazione

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