Di Hassan Alaoui
A partire da giovedì 2 gennaio, l’Algeria presiede i lavori del Consiglio di Sicurezza dell’ONU secondo le norme di rotazione annuale per i paesi membri non permanenti. Si affiancherà quindi a Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia. Il governo algerino non nasconde la sua ambizione di approfittare di questa copresidenza in seno al massimo organo delle Nazioni Unite per influenzare i suoi lavori riguardo alla questione del Sahara marocchino, dimenticando certamente i risultati dell’ultima votazione del 30 ottobre 2004. che ha definitivamente seppellito le sue tattiche dilatorie.
Gli eventi si susseguono ma non sono uguali. Se coprono più teatri, hanno invece un attore principale tra tutti, lo stesso che interpreta il disgregatore e l’inguaribile destabilizzatore: il regime militare di Algeri. La tensione non è mai stata così estrema e persino esplosiva come lo è oggi. Non siamo mai stati così sconcertati da così tante provocazioni. L’epidemia che attanaglia i militari algerini non ha precedenti, tanto più preoccupante in quanto rischia di avere delle conseguenze: gli attacchi contro la Mauritania aumentano, quelli lanciati contro il Regno del Marocco inaugurano il ciclo di provocazioni capaci di incitare, come è avvenuto costantemente detto, per aprire la guerra. Più che un desiderio la vittima della guerrasi tratta infatti di una provocazione diretta, ai confini del Regno con la loro deliberata violazione.
È opportuno trarre giudiziosi insegnamenti da questo nuovo contesto, individuando innanzitutto due linee di analisi: la dimensione militare e quella diplomatica, entrambe attivamente attuate dalla potenza militare algerina, che ormai da diversi mesi non cessa di essere tenuta sotto controllo. . Stiamo infatti assistendo, come si suol dire, ad uno splendido isolamento dell’Algeria che, come la bestia braccata, reagisce con disperata brutalità agli eventi di cui, però, è unica e sola responsabile. Vale a dire il desiderio irascibile dei suoi leader di domare, o almeno dominare la regione e imporre i propri diktat, nello spirito maligno di espansionismo che continua ad animare la loro visione sinistra e a caratterizzare la loro politica fin dall’indipendenza nel luglio 1962.
In quella che oggi può essere descritta come la bancarotta del regime algerino, c’è un riflesso banale, una paura di panico di creare un nemico esterno, di presentarlo, con l’aiuto della propaganda ostile, come la vera causa principale dei suoi fallimenti e ripetitiva, la fabbricazione dell’odio come motore di una mobilitazione che, di anno in anno, finisce per ingannare da un lato lo stesso popolo algerino, ma dall’altro costringe noi, tutti noi, a prendere coscienza di questo deriva pericolosa e, a malincuore, prepararci al peggio.
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A dire il vero” il nemico », ornato inoltre dell’aggettivo “ storico » è ovviamente il Regno del Marocco di cui Boukharrouba, alias Boumediene, amava deridere e irridere perfino la sua stessa esistenza. Niente è però meno certo, in questa inquietante sequenza dei nostri giorni, del ritorno alla ragione di un regime militare che ha iscritto sul suo frontespizio la distruzione del Marocco. I disastri dell’Algeria attuale sono lungi dal poter servire da argomento per un ritorno alla ragione o alla consapevolezza dei pericoli che tale comportamento comporta. Fu Goya a dire che “ il sonno della Ragione genera mostri »…È da molto tempo, infatti, che i dirigenti algerini – se mai questo gli è passato per la mente o semplicemente è esistito tra loro – avevano perso la ragione.
Lo spirito di negazione, come diceva Goethe, costituiva chiaramente la base della loro politica nel senso lato del termine: negazione del prezioso sostegno che il popolo marocchino gli ha dato nei momenti peggiori della sua storia, della solidarietà che il nostro Paese ha dimostrato loro., sacrifici – sì, sacrifici immensi! – che avevamo concordato per loro, territorialmente, umanamente, diplomaticamente, anche militare e così via… Non è esagerato affermare qui il prezioso e incomparabile impegno del Marocco – a cominciare da quello del sultano Mohammed V – nei confronti dell’Algeria, di fronte alla Francia e ai suoi rifiuto categorico di negoziare con il governo di quest’ultimo la retrocessione dei territori del Marocco orientale: Tindouf, Bechar, Saoura, Gourara, Tidikelt e tutti i Sahara – offerti arbitrariamente all’Algeria e i cui Archivi attestano la loro totale ed integrale appartenenza al Regno del Marocco.
Naturalmente, questa ingiustizia fatta al nostro Paese attende di essere riparata prima o poi! Tuttavia, questa Algeria, che ha visto decuplicare se non di più il suo territorio, a scapito del Marocco, della Libia e perfino della Tunisia, mostra ancora il suo ignobile irredentismo e vuole conquistare ulteriormente il Sahara Occidentale marocchino, perché, facendo il gioco della potenza continentale, intende conquistare accedere all’Atlantico, anche se ciò significa schiacciare sia la sorella Mauritania che il Marocco.
Petrolio, gas in abbondanza e oggi le armi costose che gravano gravemente sui suoi bilanci non bastano, mai abbastanza, per fare dell’Algeria un “ colosso regionale » come amavano ribattere Boumediene, Belaïd Abdeslam e Bouteflika. Tebboune, che non prese mai parte alla guerra di liberazione lanciata nel 1954, aveva appena nove anni e quindi era privo di legittimità, il suo soldato della sottoprefettura, Saïd Chengriha, non digeriva mai la sua cattura nel febbraio 1976 ad Amgala da parte delle Forze Armate Reali (FAR) nel tentativo di creare sovversione nel territorio marocchino liberato, due mesi dopo la firma dell’Accordo di Madrid il 14 novembre 1975 da Marocco, Mauritania e Spagna che posero definitivamente fine alla colonizzazione e aprirono una nuova era di cooperazione e partenariato.
L’Algeria, di cui il re Hassan II parlò al generale de Gaulle nel 1960, sarebbe “la Cancro africano » ritorna dunque ai suoi antichi demoni, creando il mito di a nemico storicoMarocco. Tutti sanno fino a che punto ella mantenga una menzogna così grave per coprire la disastrosa crisi in cui si dibatte un morboso regime militare, caratterizzato da una recessione grave ed interminabile, da code successive, da scandali di corruzione all’interno dell’esercito, dalla feroce repressione dei giovani e del popolo, il triste smantellamento degli ideali di quella che un tempo si chiamava la Rivoluzione algerina, poi tradita, l’esilio dei giovani verso un’Europa chiusa, e poi questa follia di un Chengriha che non rinuncia a guidare il suo paese e, quindi, l’intera regione nel delirio…
L’espansionismo ha le sue leggi, e il potere algerino non le misura, trascinato in una scabrosa derisione.