dallo shock dello scioglimento a un voto storico, queste tre settimane che hanno scosso la Francia

dallo shock dello scioglimento a un voto storico, queste tre settimane che hanno scosso la Francia
dallo shock dello scioglimento a un voto storico, queste tre settimane che hanno scosso la Francia
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Atto I: i postumi di una sbornia

Il 9 giugno la tromba d’aria si materializzò all’Eliseo, poco dopo le 21. L’Assemblea nazionale viene sciolta. “Shock”, “fulmine”, “stronzate”, “scommessa”… C’è tutto per qualificare questa scelta presidenziale che molti apprendono in televisione, anche nelle macronie. 577 deputati rimandati improvvisamente in campagna elettorale, un presidente del Consiglio già con le spalle al muro, un governo frastornato. Solo il Raduno Nazionale sta stappando lo champagne: più che mai sta pensando di prenderne il controllo.

“Abbiamo un’occasione storica per rimettere in carreggiata la Francia”, apprezza Marine Le Pen. La campagna è lanciata. La RN “tende una mano” ai repubblicani, Éric Ciotti la afferra: “Abbiamo bisogno di un’alleanza”, ha detto il leader di LR al JT, scioccando le sue truppe. ” Tradimento ! » protesta il suo campo. “Coraggioso”, saluta il partito lepenista. Nuovo tornado. Intanto Gabriel Attal resta in silenzio. Il colpo è duro per chi ha tentato, invano, di dissuadere il presidente dallo scioglimento. Una decisione “improvvisa”, “brutale”, dirà quando sarà maggiorenne.

Atto II: le trattative

Trattative, programmi, investiture. Ovunque, lavoriamo. Le notti sono brevi. A sinistra, dobbiamo concordare di colmare le grandi fratture tra La France insoumise e le altre forze di sinistra, sull’antisemitismo o sulla “brutalizzazione” del dibattito pubblico. “Questo accordo non dovrebbe essere una riedizione (di Nupes), ma qualcosa di nuovo”, avverte Raphaël Glucksmann. Alla fine, dopo quattro giorni di trattative a volte tese, i leader hanno concordato uno striscione, quello del “Nuovo Fronte Popolare”, e un programma.

In LR è melodramma. Eric Ciotti resiste. Abbandonato da tutti i tenori, si infiltra nel suo ufficio. “Sto lavorando”, dice ai giornalisti dalla finestra. Scena già leggendaria sulle reti. Il ramo storico ha tentato per tre volte di escluderlo, senza successo. Nella RN, 62 collegi elettorali sono assegnati ai “ciottistes”. Da lontano osserviamo il concorrente di estrema destra Reconquête che reagisce all’esclusione di Marion Maréchal.

Soprattutto, stiamo riattivando il famoso “Piano Matignon”, con un leader 28enne a incarnarlo, Jordan Bardella, il cui volto appare al centro di tutti i manifesti elettorali. Dopo il 31% degli europei, i sondaggi sembrano confermare la dinamica: 32, 34, poi fino al 37%, alleati compresi… Punteggio storico in vista? Emmanuel Macron assicura che non si dimetterà, “qualunque sia il risultato”. Dissoluzione ? Un “chiarimento” che dovrebbe consentire “una ripartenza” contro “gli estremismi”. Ma la sua maggioranza, con parole velate, lo prega di essere discreto.

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Atto III: il regolamento dei conti

In Prefettura fioccano le domande. In lizza ci sono 24 ministri, tra cui Gabriel Attal. Alcuni, chiaramente minacciati. Shock a sinistra: i ribelli hanno investito Adrien Quatennens nel Nord. Condannato per violenza domestica, l’ex deputato finirà per gettare la spugna, messo sotto pressione. In tutta la Francia, i sindacati e la sinistra hanno indetto manifestazioni contro l’estrema destra. Durante i cortei, tra gli attivisti infuriavano i dibattiti: l’ex presidente François Hollande dovrebbe essere investito? E Philippe Poutou dell’NPA? E Aurélien Rousseau, uno degli artefici dell’odiata riforma delle pensioni? E l’antifa Raphaël Arnault, nel dossier “S”?

“Un’alleanza della vergogna”, il campo presidenziale è indignato. Ritorna una parola: “epurare”. I “ribelli” ribelli, come Danielle Simonnet e Alexis Corbière, vengono licenziati dal loro management e vanno in dissidenza. “Jean-Luc Mélenchon ha saldato i suoi conti”, si infastidisce il secondo. “Sfratto scandaloso”, grida il capo del PS Olivier Faure.

“Le investiture a vita non esistono”, risponde “JLM”. C’è anche un ribelle nella maggioranza: a Parigi Gilles Le Gendre viene sfidato da un caro amico di Rachida Dati, investito dalla coalizione dell’Ensemble. Questo eletto di “sinistra” va comunque avanti, sostenuto da diversi macronisti storici. Al contrario, la maggioranza lascia il campo libero ai candidati dell’“arco repubblicano”, soprattutto a destra, sperando di allargare la propria base.

Atto IV: l’agitazione delle paure

Ora dobbiamo convincere: tre linee si scontrano. Abrogazione della riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione da parte del RN e del PFN, salario minimo a 1.600 euro a sinistra, “bonus Macron” fino a 10.000 euro a Ensemble. La Marina militare è impantanata sulle pensioni. Non si tratta più di abrogarlo, ma di favorire le “lunghe carriere”. “Approssimazioni e smentite”, denunciano gli altri schieramenti. Ma nei sondaggi non c’è movimento. Jordan Bardella alza addirittura la voce: rifiuterà Matignon senza la maggioranza assoluta dell’Assemblea. “Un rifiuto degli ostacoli”, risponde Gabriel Attal.

Estrema destra o Nuovo Fronte Popolare, attenti alla “catastrofe economica”, invoca il leader della campagna dell’Ensemble. La maggioranza ha scelto la sua strategia: mandare uno contro l’altro i due blocchi rivali, futuri artefici di un certo “caos”. Dopo gli Europei di calcio in Germania, Kylian Mbappé ha preso posizione: “Sono contro gli estremi, le idee che dividono”. A sinistra, un dibattito sconvolge la campagna: chi sarà il primo ministro in caso di vittoria? Jean-Luc Mélenchon “non si elimina ma non si impone”. Non c’è dubbio, rispondono i suoi alleati, che il pretendente dovrà ottenere il “consenso”. Un’altra burrasca.

Emmanuel Macron non è lontano. Sull’isola di Sein, nuove frasi choc. L’NFP ha “un programma totalmente immigrazionista” e propone “cose del tutto ridicole come cambiare sesso in municipio”. Furia a sinistra, costernazione nel suo campo. Pochi giorni dopo, il capo dello Stato supererà una pietra miliare semantica. “I programmi dei due estremi” portano “alla guerra civile”, afferma allarmista.

Atto V: cenni di convivenza

Chi governerà? Verso l’ultima settimana, i sondaggi sono inflessibili. È tempo di emancipazione. Prima freccia, Edouard Philippe la scocca: Emmanuel Macron “ha ucciso la maggioranza presidenziale”. Seconda pugnalata: Gérald Darmanin lascerà immediatamente Beauvau in caso di sconfitta del suo gruppo, poco prima dei Giochi Olimpici. Terza banderilla? “I pavimenti dei palazzi della Repubblica sono pieni di porcellini di terra. La cosa migliore è non ascoltarli», grida Bruno Le Maire, prendendo di mira i consiglieri del presidente senza nominarli.

Sicuro per la RN: “Il presidente dovrà solo dimettersi per uscire potenzialmente da una crisi politica”, attacca Marine Le Pen. A sinistra, siamo indignati per la mancanza di chiarezza delle istruzioni macroniste in caso di duello RN-NFP al secondo turno, o in caso di duello triangolare. L’ipotesi “né LFI né RN” regge? Alcuni chiedono un accordo per ritirarsi dalla RN.

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