Bilaterale III: per la Svizzera il coraggio di comunicare bene l’Europa

Bilaterale III: per la Svizzera il coraggio di comunicare bene l’Europa
Bilaterale III: per la Svizzera il coraggio di comunicare bene l’Europa
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In tutti i negoziati complessi, le ultime settimane sono particolarmente tese, soggette a grida di disperazione, finte o meno, a tentativi di intimidazione o ad approssimazioni che si presentano come guastafeste. Il dossier Svizzera-Unione europea (UE) non fa eccezione alla regola. Le trattative potrebbero concludersi nelle prossime settimane. Ma l’ultimo psicodramma sul freno all’immigrazione che la Svizzera vorrebbe poter attivare liberamente aggiunge ulteriore frizione alla linea.

Bruxelles si oppone a un no categorico alla clausola di salvaguardia unilaterale sulla libera circolazione delle persone. Di per sé, questo non è sorprendente. Tanto più che la rivendicazione svizzera è stata aggiunta quando le due parti avevano concordato una “dichiarazione comune” che avrebbe dovuto stabilire il quadro dei negoziati.

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La situazione è grave per chi è favorevole a un accordo? Non è sicuro. I negoziatori svizzeri, consapevoli di alcune aspettative irrealistiche, fanno il possibile per rispettare il mandato loro conferito. Ma spetterà poi al Consiglio federale validare o meno il pacchetto negoziato. Per giudicare se è sufficientemente equilibrato per avere la possibilità di passare davanti al popolo. Per calmare gli animi sarà necessaria una comunicazione attenta, assertiva e coraggiosa.

Innanzitutto, se fosse necessario rinunciare ad una clausola di salvaguardia unilaterale, c’è ancora spazio di trattativa fino alla fine. Aspettiamo il risultato finale prima di gridare forte. Quindi, le salvaguardie, le eccezioni e i compromessi sono sul menu. In termini di libera circolazione la Svizzera è riuscita a guadagnare punti. In particolare per quanto riguarda la tutela dei salari, le restrizioni sull’assistenza sociale o addirittura l’espulsione di criminali stranieri. Deve essere ricordato. Perché per il momento sono soprattutto gli oppositori a farsi sentire. E chi preferisce vedere il bicchiere mezzo vuoto.

Il dossier è estremamente tecnico, i dettagli giuridici pullulano e, dopo trent’anni di tango sconnesso tra Berna e Bruxelles, basta per perdere le tracce. Ma alla fine la domanda è relativamente semplice: può la Svizzera permettersi di non andare avanti mentre l’erosione degli attuali accordi bilaterali si fa sentire a livello economico? Oggi più che mai il Consiglio federale ha una carta da giocare e una leadership da incarnare. Sarebbe saggio sottolineare ciò che un destino più europeo può portare alla Svizzera in tempi geopolitici turbolenti, piuttosto che restare sulla difensiva di fronte ai timori espressi. Anche le persone vedrebbero le cose più chiaramente.

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