Steve McQueen nei pori di Amsterdam – Libération

Steve McQueen nei pori di Amsterdam – Libération
Descriptive text here
-

Documentario

Articolo riservato agli abbonati

In “Occupied City”, un lungo documentario di più di quattro ore, il regista inglese mescola immagini della capitale olandese negli anni 2020 e voci fuori campo che cantano i nomi dei luoghi dell’Olocausto.

Ci sono due livelli, due bande, in Città occupata di Steve McQueen. E tutto avviene – o non avviene – nel loro incontro, o nel loro non incontro. Inizialmente, questi due livelli di realtà parallela appaiono strettamente legati dalla topografia, dal rilevamento di una geografia urbana. Da un lato, una voce fuori campo elenca fatti, nomi di persone e luoghi, per descrivere, in poche parole per ogni frammento di storia, il diverso, molteplice, tragico destino degli abitanti di Amsterdam durante l’occupazione nazista della città , tra il 1940 e il 1945. D’altra parte, ma contemporaneamente, le immagini e i suoni descrivono nel presente (all’inizio degli anni 2020, in una sequenza storica recente che va dalla pandemia all’invasione dell’Ucraina) i luoghi corrispondenti a gli stessi episodi: per ogni indirizzo, ogni edificio, interno o esterno, è un piccolo pezzo di vita che scorre davanti alla telecamera del cineasta inglese – installata da vent’anni nella città di cui fa qui l’inventario in due luoghi del tempo allo stesso tempo, del passato traumatico e della contemporaneità che può o meno conservarne traccia.

Fantasmi dell’Olocausto

Questi due livelli sono infatti le quattro ventisei ore diCittà occupata, che non avrebbero potuto ridursi senza perdere molta della loro sostanza, per quanto fluttuante, basteranno a dimostrare –

-

NEXT “Fall Guy”, la commedia attuale