Cadere e rialzarsi. Potrebbe essere questo l’epitaffio della carriera di Tison Fury, che ne ha fatto anche una lezione di vita, se questa volta manterrà la parola data, dopo aver annunciato più volte di appendere i guanti al chiodo.
Le due sconfitte subite nel 2024 – le uniche in 37 incontri (34 vittorie, un pareggio) – contro Oleksandr Usyk, che prima gli ha tolto la cintura WBC e poi è rimasto campione unificato dopo due scontri di altissimo livello, avrebbero potuto comunque portarlo ragionare sulla sua capacità di diventare un giorno di nuovo il numero uno all’età di 36 anni.
A meno che il ponte d’oro che i promotori gli propongono da anni, per uno scontro con l’odiato connazionale Anthony Joshua, non riesca a fargli cambiare idea, si prepara ad affrontare un altro tipo di avversario: lui – se stesso, di fronte al vuoto di un’esistenza che ha spesso sofferto tra due battaglie. Personalità estrosa, volutamente provocatoria, le cui bizzarrie abbracciano spesso la volgarità con un linguaggio eccessivamente fiorito davanti ai media e nei confronti dei suoi avversari, Tyson Fury non è solo un membro dello spettacolo della boxe, ma è anche caratterizzato da un’anima torturata.
Tyson Fury guarda avanti alla lotta per i titoli mondiali indiscussi dei pesi massimi IBF, IBO, WBA, WBC e WBO tra Oleksandr Usyk e Tyson Fury.
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“Re zingaro”
Molto prima di diventare una forza della natura raggiungendo i 2,06 metri e i 127 kg, il nativo di Wythenshawe, vicino Manchester, ha dovuto combattere spesso fin da piccolo. Estremamente prematuro, i medici erano pessimisti riguardo alle sue possibilità di sopravvivenza. Proveniente da una famiglia di zingari irlandesi, il giovane Tyson ha la lotta nei suoi geni. Suo zio Peter ha allenato brevemente Mike Tyson e suo padre, che non a caso lo ha battezzato in omaggio all’ex campione americano, ha combattuto a lungo a mani nude senza licenza, prima di diventare professionista e essere condannato nel 2011 a undici anni di prigione per un occhio cavato durante una rissa tra ubriachi. Ne ha serviti quattro.
Si ritiene abbia anche una lontana parentela con Bartley Gorman, il “Re degli zingari”, campione di Gran Bretagna e Irlanda di combattimenti clandestini a mani nude nelle bische tra il 1972 e il 1992. Ma per i posteri della boxe, il “ Gypsy King” sarà Fury, per il quale “appartenere a questa comunità è indelebile… È la mia vita, è quello che sono e anche se sono ricchissimo vivrò sempre in una roulotte“.
Diventato professionista nel 2008, ha raggiunto la vetta per la prima volta sette anni dopo, detronizzando sorprendentemente Wladimir Klitschko e conquistando i titoli WBA-WBO-IBF. È nata una stella, capace di feroci invettive –”Hai combattuto contro molti contadini, polacchi e altrove, ma mai contro il re degli zingari!“, osa davanti all’ucraino -, non perdendo mai l’occasione di travestirsi prima dei combattimenti da Batman, centurione romano o re incoronato, né di cantare sul ring, preferibilmente “Sweet Caroline” di Neil. Diamante.
Tyson Furia
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Ben presto, però, Furia sperimenta una discesa agli inferi. Risultato positivo alla cocaina, privato dei titoli e con diagnosi di disturbo bipolare, cadde in una profonda depressione. “Non so se riuscirò a superare l’anno. Spero solo che qualcuno venga e mi uccida prima che io mi uccida“, ha confessato nel 2016. Ha comunque ripreso il filo della sua carriera nel 2018. E la sua pancia più panciuta che mai, cosa che gli piace assumere – “Non cambierò mai. Sarò sempre grasso e bianco e basta” – non promette molto bene quando si sfida l’americano Deontay Wilder. Cadde, ma si rialzò due volte durante il loro primo incontro, per un pareggio che stupì il mondo della boxe.
I due scontri successivi, vinti ogni volta dal britannico allora all’apice della sua (nobile) arte, danno vita ad una trilogia epica, che restituisce la nobiltà della categoria regina e ne segna la spettacolare rinascita. Mancano avversari al suo livello, la “grande battaglia” contro Joshua non si materializza, la noia lo vince. Fino all’emergere di Oleksandr Usyk, detentore dei titoli WBA, IBF e WBO.
Conduce il primo combattimento, prima di pagare per un po’ di clownerie. Ha sfiorato il ko, ma è stato sconfitto ai punti, in assenza della moglie Paris, dalla quale ha poi appreso dell’aborto del loro ottavo figlio. Fury promette di restare serio fino alla fine per la rivincita. Lo è, ma l’ucraino si dimostra comunque il più forte. Il “Re Zingaro” non cadde in 24 round, ma perse il suo splendore. Forse per sempre.