Musk all’economia, Arnault alla cultura?

Musk all’economia, Arnault alla cultura?
Musk all’economia, Arnault alla cultura?
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10 milioni per Restos du Cœur nel 2023 ovvero 200 milioni di euro: queste le somme donate da Bernard Arnault e dal suo gruppo LVMH ad enti di beneficenza. Senza dimenticare la creazione della fondazione Louis Vuitton e altre azioni di mecenatismo… Qual è la logica dietro questa spesa? Si tratta di investimenti? Cosa ci guadagnano l’imprenditore e il suo gruppo? Quali rischi stanno correndo?


La riapertura di Notre-Dame de Paris ricorda le polemiche seguite alla donazione di 200 milioni di euro da parte di Bernard Arnault per il restauro della cattedrale. Sebbene questa donazione sembrasse all’epoca sorprendente, si inquadrava tuttavia nella continuità del ruolo di mecenate pienamente assunto dal fondatore dell’impero LVMH, come dimostra l’inaugurazione nel 2014 della Louis Foundation Vuitton a Parigi. La ricorrenza di queste donazioni colossali (donazioni di 200 milioni a Notre-Dame, 10 milioni a Restos du coeur), potrebbe tuttavia suggerire che Bernard Arnault stia adottando una visione sempre più americanizzata del mecenatismo. Cos’è veramente?

Tra il boss di LVMH e la cultura, un matrimonio di convenienza?

Il lusso è soprattutto una questione di know-how, arte e passione che spesso trascende i gusti attuali. In una prospettiva a lungo termine, i marchi di lusso evidenziano la loro competenza non solo in termini di design, ma anche di tecniche di produzione. Marchi di lusso come Chanel, Hermès o Louis Vuitton spiegano che è necessario formare gli artigiani per diversi anni affinché siano in grado di riprodurre i movimenti precisi necessari per realizzare i pezzi di pelletteria più ambiti come la famosa borsa trapuntata, la Birkin o il baule con monogramma. Altre case di lusso stanno unendo le forze con l’artigianato per la ristrutturazione dei negozi. È quindi questa convergenza di competenze e intenzioni che avvicina le aziende del lusso al mondo dell’arte.

Un altro motivo che aiuta a spiegare l’interesse delle case di lusso e dei privati ​​più facoltosi nella conservazione delle opere del patrimonio è il concetto di immortalità secolare. Questo concetto si riferisce all’idea di realizzare una forma di permanenza simbolica attraverso l’associazione tra una persona ed edifici o opere storiche. I maggiori industriali e finanziatori americani danno così il nome ad aule, edifici, dipartimenti e scuole universitarie. Simbolo del loro successo e modo di trasmetterli ai posteri nel corso della loro vita.


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Queste strategie possono essere intese come strategie che consentono di lasciare un’impronta duratura, iscrivendo effettivamente la propria identità nel tessuto sociale. Tali azioni non riguardano solo la ricchezza materiale o l’altruismo, ma anche l’espressione del profondo desiderio di trascendere la mortalità inserendosi nella memoria collettiva della società. Associando i loro nomi a oggetti prestigiosi o cause importanti, gli individui tentano di raggiungere una forma di permanenza simbolica, garantendo che i loro contributi – e per estensione, la loro identità – durino oltre la loro vita.

Lusso e cultura: un connubio di interessi?

Bernard Arnault è un mecenate e fa anche parte della lunga tradizione dei Medici italiani o del re francese Francesco 1È che ha ricevuto Leonardo da Vinci. Durante il Rinascimento essere protettore delle arti e degli artisti era segno di buon gusto. Pierre Bourdieu avrebbe detto che era un modo per accrescere e mettere in mostra il proprio capitale culturale. Nel corso della storia, i mecenati hanno tratto prestigio dai loro legami con questo o quell’artista: così quando Bernard Arnault appare accanto a Jeff Koons è ben considerato, come quando François 1È invitava Leonardo da Vinci ai suoi banchetti. Si dice che l’uomo d’affari sia anche un “intenditore”, un “collezionista d’arte”, e per questo è rispettato.


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Se arte e impresa sono sempre andati di pari passo, possiamo vederlo anche come un matrimonio di convenienza, addirittura come un matrimonio forzato. Questo ci ricorda il lavoro di ricerca di Yajing Wang, Alison Jing Xu, Ying Zhang. In questo lavoro i ricercatori mettono a confronto i consumatori che escono da una galleria d’arte e quelli che non hanno visto le opere di Monet o Van Gogh. Essi mostrano un minore interesse per le vicine boutique di lusso da parte dei consumatori esposti (rispetto a quelli non esposti) alle opere d’arte. I ricercatori spiegano poi che l’arte trascende e commuove l’individuo, riportandolo a valori di estetica e disinteresse, piuttosto che a valori materialisti antagonisti.

Tuttavia, quando il mecenatismo si trasforma in fondazioni aziendali, alla maniera americana, tende a suscitare polemiche in Europa. Bernard Arnault non è più visto come un appassionato d’arte intrinseco, ma come un investitore che può trarre profitto dall’arte e dagli artisti (beneficiando, ad esempio, dell’esenzione fiscale). La stessa nozione di “dono” è distorta. In Larousse il donatore è un benefattore, cerca il bene degli altri (l’interesse generale) prima del proprio. La questione è quindi se Bernard Arnault voglia incarnare il mecenatismo disinteressato o se voglia competere con i miliardari americani, come Ford o Rockefeller e più recentemente Bill Gates, che usano le loro fondazioni come strumento di potere o di arricchimento personale. Cosa rischia davvero Bernard Arnault adattando la postura di queste icone americane?

Attenzione allo scontro di culture

L’influenza americana è notevole nella strategia del gruppo LVMH, i cui due marchi più grandi – Louis Vuitton e Dior – sono diventati, nel corso dei decenni, ostentati indicatori di successo sociale. La borsa di tela Louis Vuitton è quindi regolarmente vista come un rito di passaggio tra i giovani, un primo acquisto di lusso e un modo per celebrare il loro status sociale appena acquisito. La percezione del cospicuo consumo di lusso varia a seconda delle culture. Dove è accettato, addirittura celebrato negli Stati Uniti, è più indietro nel vecchio continente che preferisce i prodotti – e i marchi – di lusso. Tranquillo. Come Hermès, che coltiva la passione per l’arte e la qualità delle materie prime, valorizzando il know-how piuttosto che il designer. Capiamo così perché Bernard Arnault resta una figura controversa in Francia.

La forza di Bernard Arnault, miliardario francese rivolto all’America, si è però pienamente espressa durante le ultime Olimpiadi di Parigi. Lo sponsor ufficiale di Parigi 2024 non solo ha esposto i suoi prodotti e i suoi marchi dalla cerimonia di apertura a quella di chiusura, ma ha anche invitato numerose personalità internazionali a una cena di gala presso la Fondazione Louis Vuitton, parallelamente ai giochi. Bernard Arnault ha così utilizzato la sua duplice influenza, finanziaria (tramite la sponsorizzazione) e sociale (per garantire che i VIP comparissero sugli spalti degli eventi).

BFM 2019.

Una questione di equilibrio

Alcuni commentatori hanno addirittura affermato che LVMH ha contribuito a rendere Parigi 2024 un evento alla moda e glamour. Attraverso questo esempio, capiamo meglio come funziona il potere morbido dell’imprenditore può esprimersi, nell’interesse dell’influenza francese. Notiamo anche che questo potere resta meglio accettato quando non esce dal quadro di un contratto privato (di sponsorizzazione), vale a dire quando non si discosta dalle sue questioni.

In definitiva, la strategia di sponsorizzazione di Bernard Arnault fa parte di una tradizione che unisce lo stile americano appariscente, aperto alla società e in cui la donazione finanziaria è vista come uno dei vettori ultimi del successo professionale; e la tradizione franco-italiana, dove le azioni di mecenatismo intendono essere più discrete e rispettose della volontà e delle intenzioni patrimoniali dei curatori. Per quanto fragile possa essere, questo equilibrio ha tutto l’interesse ad essere preservato dall’uomo più ricco di Francia.

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