La mia piccola renna: tutta vergogna vista

La mia piccola renna: tutta vergogna vista
La mia piccola renna: tutta vergogna vista
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Capita a volte che una serie emerga dalla piattaforma rossa così, senza preavviso, è il caso di “Mon petit reinne”, uscito pochi giorni fa, firmato da uno sconosciuto almeno in Francia, lo scozzese Richard Gadd, adattato dalla sua storia e che interpreta lui stesso. Un objet qui commence comme une sitcom, avec un personnage d’humoriste raté qui raconte sa vie en voix off, s’alourdit de gravités inédites, et renferme dans son cœur un des épisodes les plus intenses qu’il m’ait été donné de vedere.

Il piccolo Renne è Donny, fa il barista a Londra, ma la sua ambizione è diventare un attore: frequenta palchi aperti e partecipa a concorsi dove si esibisce in numeri leggermente assurdi in costumi a scacchi. Un giorno mentre lavorava una donna entrò nel suo bar. È molto grassa, trasandata, siede su uno sgabello con uno sguardo pietoso. Donny gli offre il tè, e tutto inizia così. Martha apre la bocca e inizia una litania che difficilmente si fermerà fino alla fine della serie, nonostante le rivelazioni e i colpi di scena. Messaggi, email, messaggi vocali, poi incontri più o meno inaspettati con quell’uomo che lei chiama la sua “piccola renna” perché ha gli occhi grandi e il naso lungo, Martha è ovunque nella vita di Donny che non sa più se non potrà o se vorrà. non liberarmene. Perché Martha preme su un’area delicata della vita del giovane, un luogo ancora non formulato, un miscuglio di violenza, rabbia, vergogna e desiderio che la serie dispiega con forza sorprendente, senza risparmiare né i personaggi, né lo spettatore.

Il tempo della vergogna

Più serio nella seconda parte, più unilaterale e moralmente stabile, mi interessa meno. Ma i primi quattro episodi sono cuciti con mano magistrale, che intreccia inestricabilmente un umorismo molto particolare, molto inglese, disperato, una scrittura autobiografica sui nervi, un po’ come in Sacco di pulci e chi implicitamente teorizza cosa significhi esporsi come comico: si fa coraggio, con tutta l’oscenità che comporta.

È il patto di imbarazzo stabilito tra l’attore e il suo pubblico, qualcosa di molto specifico nell’esercizio di in piedi fin dagli esordi, qualcosa di cui parla il critico cinematografico Guillaume Orignac in un libro a cui penso spesso, e al quale ho ripensato davanti a La mia piccola renna il cui nome è Risate nei momenti di vergogna, e che parla principalmente di due grandi figure: Lenny Bruce, uno dei pionieri americani degli anni ’60, costantemente arrestato dalla polizia nel bel mezzo di uno spettacolo perché parlava crudamente di sesso e talvolta addirittura si spogliava nei club; e poi Louie CK, la cui carriera ha preso una svolta particolare dopo che alcune donne lo hanno accusato qualche anno fa di essersi masturbato davanti a loro, e il cui materiale comico è stato molto vergognoso, vergogna che il dentro esca fuori.

Qualcosa di abiezione è in gioco qui nell’esposizione di se stessi, e Richard Gadd si trova in una posizione molto particolare: vittima e carnefice: è l’uomo bianco eterosessuale e bello molestato da una donna obesa che sembra soffrire di a grave patologia mentale, in uno mutevole e perverso equilibrio di potere, che sposta costantemente il punto di vista morale dello spettatore, e lo costringe a ridere di fronte a situazioni insostenibili. In un flashback vediamo Donnie eseguire uno sketch in cui inizia a comportarsi da clown mimando gesti infantili e osceni vestito con un ridicolo travestimento ma prosegue subito dicendo “mia madre è morta oggi”: questo è il movimento che la serie produce e si riproduce al meglio.

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