All’ombra della Russia, la Cina spinge le sue pedine nelle miniere del Sahel

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Cercatori d’oro in una miniera d’oro, a Bouda, Burkina Faso, 23 febbraio 2020. SAM MEDNICK/AP

Berretto con le sue cinque stelle generali dell’esercito in testa, occhiali da sole profilati sul naso, Assimi Goïta vaga tra i frantoi, i nastri trasportatori e diverse tonnellate di macerie di una roccia biancastra contenente un metallo ambito in tutto il mondo: il litio. Il 15 dicembre il capo della giunta maliana era a Goulamina, circa 150 chilometri a sud di Bamako, per inaugurare un nuovo impianto di produzione di questo minerale, utilizzato in particolare per produrre batterie elettriche. Sotto la crescente pressione finanziaria, i militari al potere vedono questo nuovo sito industriale come un vantaggio, un modo per portare il denaro che manca alle loro casse.

Dietro questo progetto, un’azienda cinese, quotata alle borse di Shenzhen e Hong Kong, che utilizzerà questo minerale per produrre batterie in Cina: Ganfeng Lithium. Come altre aziende straniere, non è sfuggita alla stretta imposta dalla giunta nel settore minerario. Da quando è salito al potere con un colpo di stato nel 2020, il generale Goïta e i suoi compagni putcho-sovranisti hanno intrapreso la ristrutturazione adottando un nuovo codice minerario. Tra le nuove disposizioni: fino al 30% delle quote di ciascuna miniera per lo Stato, un aumento significativo di tutte le tasse e l’obbligo per ciascuna società di versare i propri profitti su un conto bancario in Mali.

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