Consumismo: trovare il giusto prezzo per gli oggetti

Consumismo: trovare il giusto prezzo per gli oggetti
Consumismo: trovare il giusto prezzo per gli oggetti
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Consumismo

Trova il prezzo giusto per gli articoli

La frenesia di consumo di oggetti a basso costo provoca una forma di disincanto, in primis la perdita di know-how e l’indebolimento delle piccole strutture locali. C’è ancora tempo per fare appello ad altri valori.

Filippo Vallat– Fondatore e direttore di Pilot design sàrl

Pubblicato oggi alle 11:00

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La notizia ha suscitato scalpore tra il nostro vicino francese la settimana scorsa: le piattaforme Schein e Temu rappresentano ormai il 22% della consegna dei pacchi gestita dalle Poste. Anche la Svizzera non è risparmiata da questa ondata di consumo di oggetti poco costosi e di bassa qualità, poiché alla fine di agosto si è appreso che ogni giorno a Zurigo arrivavano mezzo milione di pacchi provenienti dall’Asia…

L’Europa intera sembra aver ceduto al consumo di massa a prezzi ridotti. Dobbiamo cedere a questo valore ultimo? Non è questa l’occasione per riflettere sulle conseguenze di questa tendenza per la nostra società e, infine, questo prezzo basso che consideriamo il Santo Graal è il prezzo giusto? Questa apparente estrema accessibilità non nasconde forse una logica economica malsana per la quale paghiamo senza rendercene conto? Esistono soluzioni per evitarlo?

Lo specchio dell’oggetto a prezzi bassi, “design incluso”

Basta andare dal colosso svedese dell’arredamento Ikea per rendersi conto di quanto fosse calzante la citazione del famoso economista austriaco Joseph Schumpeter quando disse: “La regina Elisabetta possedeva calze di seta. Il successo capitalista non consisteva specificamente nel fornire alle regine una maggiore quantità di queste calze, ma nel metterle alla portata degli operai, in cambio di quantità sempre minori di manodopera.

Oggi, infatti, chiunque può acquistare per pochi franchi svizzeri una lampada, una scrivania o un divano letto dai nomi impronunciabili. Questo “miracolo della globalizzazione” è indiscutibile. Ma a quale costo – è giusto dirlo? L’obiezione più evidente è che da un lato si è spesso sacrificata la qualità, per favorire il consumo di massa di oggetti inutili e più facilmente gettabili. Nel processo, abbiamo ignorato la durabilità e l’esclusività che la falegnameria locale e altre aziende a misura d’uomo erano ancora in grado di offrirci. A volte, perché non hanno saputo innovare, ammettiamolo, ma il più delle volte, soprattutto, perché non sono stati in grado di adattarsi a queste esigenze di prezzo basso.

Il costo reale dovrà essere pagato dalle nostre società

Ma ci è stata raccontata così tanta storia che ci siamo lasciati sedurre dai vantaggi immediati di cui non abbiamo misurato le conseguenze a lungo termine. La magia del capitalismo e della globalizzazione ha messo alla portata di tutti una scelta infinita di oggetti utili e poco costosi e noi non abbiamo saputo resistere al richiamo di questa società dei consumi su cui abbiamo scommesso tutto. Tuttavia, nella fretta di questa trasformazione, abbiamo perso la nostra capacità di competere. Poiché a un certo punto abbiamo fatto degli oggetti a basso costo l’alfa e l’omega della nostra società dei consumi e non sapevamo come produrli in casa, abbiamo finito per deindustrializzarci, con questa terribile conseguenza: abbiamo perso il know-how. Di conseguenza, possiamo immaginare un deficit in termini di capacità di produrre, di generare attività e crescita. Questo controcosto va oltre la sfera economica e incide sul senso della vita di un gran numero di persone attive che si ritrovano inattive. Purtroppo la realtà è implacabile: le piccole strutture locali sono state le principali vittime di una concorrenza non paritaria e le cui conseguenze si misureranno di generazione in generazione. Ma chi potrà recuperare queste perdite immateriali generate dalla delocalizzazione? Cosa fare?

Riscopri il significato del giusto prezzo

Attore controcorrente rispetto alla globalizzazione, la Svizzera si è sempre distinta vendendo ai suoi clienti internazionali prodotti di alta qualità a prezzi elevati. Ciò vale anche per i settori del lusso e dell’alta tecnologia. Ciò significa che esiste un mercato con clienti disposti a pagare un prezzo premium per differenziare i valori. Questo singolare esempio ci invita a riflettere sull’intero processo di valorizzazione dell’oggetto. Se sapessero tutto ciò che ciò comporta e tutte le conseguenze che può comportare, sicuramente i consumatori non cercherebbero sempre (a meno che non sia necessario) il prezzo più basso. Sarebbero pronti a mettere mano al portafoglio per acquistare altri valori. Questo è già il caso, ad esempio, di questo pubblico disposto a pagare di più per oggetti prodotti localmente da aziende a misura d’uomo. Una nuova generazione, dal canto suo, sembra sempre più dare l’esempio interrogandosi sul senso delle proprie azioni d’acquisto; lo vediamo in particolare attraverso i contenuti artistici che si possono ottenere gratuitamente sul web, ma per i quali alcuni scelgono di pagare avendo perfettamente capito che ciò permette all’artista di vivere.

C’è poi un’intera generazione che è pronta a consumare meno e soprattutto vuole consumare meglio dando un senso ad ogni sua azione di acquisto che deve essere legata a valori diversi dal prezzo. Ammettiamo infine che l’ultima leva per cambiare e riconquistare il significato di prezzo giusto sia nelle mani dei produttori. Spetta a questi ultimi sapersi differenziare mostrando creatività ma anche promuovendo il loro modo di produzione rispettoso dei valori umani e ambientali che deve essere pagato bene e non solo il margine posteriore di un profitto che immaginiamo usurpato. Sta a loro trovare il giusto prezzo dimostrando che un oggetto è molto più di una formula prezzo-prodotto ed è un vettore di significati e valori.

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