Omelia per la Messa della 32a Domenica del Tempo Ordinario, Messa televisiva del Giorno del Signore, durante l’Assemblea Plenaria dei Vescovi di Francia dell’autunno 2024

Omelia per la Messa della 32a Domenica del Tempo Ordinario, Messa televisiva del Giorno del Signore, durante l’Assemblea Plenaria dei Vescovi di Francia dell’autunno 2024
Omelia per la Messa della 32a Domenica del Tempo Ordinario, Messa televisiva del Giorno del Signore, durante l’Assemblea Plenaria dei Vescovi di Francia dell’autunno 2024
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Omelia per la messa del 32th Domenica del Tempo Ordinario, anno B, 10 novembre 2024, nella Basilica del Rosario, a Lourdes, messa televisiva del Giorno del Signore, pronunciata da Mons. Éric de Moulins-Beaufort, arcivescovo di Reims, davanti ai suoi confratelli vescovi riuniti per la 94ª Assemblea plenaria dei vescovi di Francia.

Fratelli vescovi, ovviamente, prendiamo per noi, in questa domenica, la parola del Signore: “Attenti agli scribi”. Sappiamo bene che l’evangelista non la raccolse solo per trasmettere nel tempo il severo giudizio di Gesù sugli scribi, commentatori della Torah, del suo tempo. San Marco ha annotato queste parole per noi, per tutti coloro che dovranno esercitare l’autorità nella Chiesa, per tutti coloro che, nel corso dei secoli, potranno indossare abiti da cerimonia – e le nostre casule lo sono senza dubbio –, e vedersi offrire posti dell’onore che essi corrono sempre il rischio di finire per considerare come un diritto acquisito.

Riuniti in Assemblea Plenaria e concludendola questa mattina con voi, fratelli e sorelle, accettiamo di buon cuore che queste parole del Signore si applichino innanzitutto a noi. Lo facciamo tanto più volentieri in quanto il Sinodo conclusosi due settimane fa, dopo un periodo di consultazione con tutta la Chiesa, ha posto o rimesso al centro della vita della Chiesa e del suo funzionamento sinodale, vale a dire il comune ascoltando ciò che Dio attraverso lo Spirito Santo vuole dire alle Chiese. Papa Francesco, non lo abbiamo dimenticato, ha voluto rilanciare la sinodalità come rimedio proprio della Chiesa contro ogni forma di clericalismo, modo in cui chiunque ha una funzione nella Chiesa si appropria della sua missione e la porta avanti per la propria promozione , per buona volontà, e peggio, per proprio desiderio.

Ci incontriamo qui a Lourdes due volte l’anno per rilanciarci nella nostra missione. Pur sapendo che l’avvertimento del Signore può essere rivolto innanzitutto a noi, e che comunque viene inteso in questo modo, osiamo dire che esso vale per ogni battezzato. Il nostro battesimo e la nostra cresima per tutti non formano un abito cerimoniale, sono un abito di esigenza, ci chiamano tutti a una maggiore umiltà. Non ci rendono “brave persone” che hanno il privilegio di affermarsi. Il Battesimo e la Cresima invitano tutti noi a esaminare con lucidità ciò che realmente diamo di noi stessi e ciò che cerchiamo di conservare o recuperare più o meno sottilmente.

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Subito dopo l’avvertimento dato da Gesù, San Marco riferisce la sua ammirazione per il dono della vedova. Gesù la dona come esempio ai suoi discepoli, a tutti noi, battezzati e cresimati, qualunque sia il nostro stato di vita o la nostra condizione nella Chiesa. Questo lo possiamo capire: Gesù non ci chiede di dare grandi somme per fare offerte a Dio; ci chiede di donarci, ciascuno e ciascuno, interamente. Ci chiama a rischiare noi stessi per la gloria di Dio e il suo servizio. Notiamo che egli non disprezza le elargizioni dei ricchi: le loro elargizioni sono necessarie perché esista e funzioni il gran bene del Tempio. Ma le grandi donazioni non sono esemplari; Esemplare è colei che dà “tutto ciò che ha per vivere”, colei che mette il suo essere a disposizione di Dio. Dio, in Gesù, non si interessa né dello status sociale, né della durata delle preghiere, né dei discorsi; ha occhi per vedere ciò che ciascuno dona di sé nella verità. La sinodalità, fratelli e sorelle, se continuiamo a riflettere su questo tema, non è innanzitutto nella condivisione delle competenze, anche se questo è utile. Il fondamento della sinodalità è che tutti noi, di ogni stato di vita e di ogni status sociale, rischiamo per Dio ciò che ci fa essere.

Gesù ha sperimentato questo dono. L’obolo che getta nel tesoro del Tempio è lui stesso, tutto se stesso, senza riserve, dal suo essere di Figlio eterno fino al suo corpo e alla sua carne più intima. Non c’è nulla che rivendichi per se stesso. Per questo, spiega la lettera agli Ebrei, non deve offrirsi più volte. Non ha offerto nulla che fosse anche solo un po’ distante da lui. Si è gettato interamente per noi sulla bilancia, senza rimpianti, senza rendere conto. Non ha senso immaginare una reiterazione. Nella vedova del Tempio riconosce la via sulla quale il Padre lo attende. È perché ci sono tali doni di sé nell’umanità che vale la pena andare fino in fondo, e gli viene in modo che il minimo gesto in questa direzione, proveniente dai peccatori che assumiamo, per quanto incompleto possa essere, possa essere valido per la verità di ogni essere umano. Il fondamento solido della sinodalità non è solo ciò che noi mettiamo in essa, ma lo sguardo del Signore che vede il profondo dei cuori e chiama a sé il dono di noi stessi che possiamo fare.

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Tutti i temi trattati, tutte le persone che abbiamo ricevuto: l’arcivescovo maggiore dei greco-cattolici ucraini, cardinali e arcivescovi africani, i leader dei movimenti scout, ci hanno riportato alla nostra missione fondamentale: offrire a tutti l’esempio e la grazia di Cristo Gesù, e farlo collegialmente, perché questo servizio non deve essere una ricerca di sé, né collettivamente un privilegio di casta, deve essere un apprendimento costante, portato avanti da tutto il popolo di Dio, del dono di sé nella verità, nella contemplazione di Gesù nel quale Dio ci ama fino alla fine.

Celebriamo questa Messa portando con noi coloro che attualmente soffrono a causa della guerra, della violenza e della brutalità di cui sono capaci gli esseri umani. In questo momento ci sono molte vedove e orfani a Sarepta e in Libano, a Gaza e in Israele, in Ucraina e in Russia, in Armenia e in Congo o in Sudan, e ci sono anche dei vedovi. La storia ricorda facilmente i nomi dei potenti e dei forti; celebrando l’Eucaristia di Gesù, sappiamo che la storia vera è intessuta dai contributi di coloro che impegnano la propria vita, saperlo o non saperlo, e nei quali Cristo può riconoscersi. Chiediamo che tanto dolore e sofferenza si trasformino in opere di giustizia, verità, rispetto reciproco, riconciliazione e pace,

Amen.

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