“L for Lesbian”, il nuovo documentario di Ève Simonet sulle identità lesbiche

“L for Lesbian”, il nuovo documentario di Ève Simonet sulle identità lesbiche
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Dopo Dopo il parto E Big Bang, tesoro, la regista Ève Simonet ritorna con L per lesbica. Un luminoso trittico documentaristico, in cui mette in discussione le esperienze lesbiche, tra invisibilità ed emancipazione.

È un documentario sensibile e gioioso, realizzato da Ève Simonet con L per lesbica. Dopo aver esplorato gli sconvolgimenti della maternità in Dopo il parto E Big Bang bambino, la regista dedica il suo terzo film alle identità lesbiche. Non del tutto per caso: qualche mese fa, all’età di 27 anni, anche se questa idea non gli era mai venuta in mente. “mai passato per la mente”si è dichiarata lesbica. “Ho scoperto, stupita, la comunità lesbica e mi sono piovute migliaia di domande. Come sono sopravvissuti al patriarcato e all’eteronormatività che tormentano la nostra istruzione, le nostre scuole, le nostre famiglie, le nostre istituzioni? Che dire della costruzione dell’identità in un mondo largamente omofobo?” si chiede. Facendone addirittura il soggetto del suo nuovo film, in uscita il 30 aprile su on.suzane, la piattaforma di streaming da lei creata.

Come nei suoi documentari precedenti, Ève Simonet combina storie intime e analisi di ricercatori per far luce sulle questioni collettive – anche politiche – che sono alla base delle esperienze individuali. Oltre alla sociologa Gabrielle Richard e alla dottoranda Yasmine Tuffy, ci sono numerose testimonianze di donne – tra cui la comica Tahnee, l’influencer Amicalement gouine, le autrici Fleur Godart, Léa Cayrole e Marie-​Clémence Bordet-​Nicaise. Donne famose o anonime che, nel corso di tre episodi di circa trenta minuti, raccontano come hanno costruito se stesse come lesbiche, tra invisibilità, pregiudizio ed emancipazione.

Per molti ciò che emerge è innanzitutto la difficoltà, se non l’impossibilità, di immaginare una vita al di fuori dei confini dell’eterosessualità. Da adolescente, quando non immaginava di diventarlo “nessuno”, Marie-​Clémence vide se stessa “sposato con un dentista, insegnante, con quattro figli”. Aurore, dal canto suo, ha intravisto solo una vita”solo”. “Tutto quello che ho visto era che dovevo avere un ragazzo.”ricorda Tenemy, che ciascuno data con un ragazzo ti faceva letteralmente schifo. Qualunque sia la loro età, tutti hanno dovuto costruirsi affrontando il “presunzione di eterosessualità”. Cioè “il fatto che associamo l’eterosessualità molto strettamente alla normalità. Questo è ciò che viene dato per scontato. Tanto che non viene mai, o quasi, messo in discussione”illumina la sociologa Gabrielle Richard in La nascita delle lesbichela prima parte del film da scoprire qui in libero accesso.

Violenza intima ed epifanie lesbiche

Scoprirsi lesbica, quindi, significa andare avanti senza modelli in cui identificarsi – Erba maledetta, Poi Il mondo L avendo costituito per lungo tempo l’unico orizzonte lesbico della cultura popolare. Si tratta di affrontare pregiudizi e omofobia. Quello degli altri e quello che abbiamo interiorizzato. Quanto a Léa, figlia del Manif pour tous, che non aveva mai sentito parlare di omosessualità prima della mobilitazione contro il matrimonio per tutti. Mentre Ève Simonet, la regista, ritorna con sincerità e autoironia sui cliché omofobici che lanciava alle sue sorelle, qualche anno prima, quando le confidavano di essere bisessuali.

In “Dirti lesbica”, secondo capitolo del film, c’è chi parla anche della difficoltà di usare questa parola, che suona ancora come un insulto, per definire se stessi. Le reazioni di chi ti circonda, che ti fanno sorridere quanto piangere. “Che sei lesbica, figlia mia, nessun problema, ma non con lei!” fu così sentita chiamata Capucine da sua madre. Mentre Tenemy avrebbe preferito vederla così “stuprata piuttosto che lesbica”. Tra violenza intima ed epifanie lesbiche, c’è ovviamente il tentativo e l’errore per trovare il proprio posto e, spesso, per ritrovare se stessi. “Per un anno ho fatto di tutto per cercare di diventare etero”, ricorda Marie, che oggi gestisce il conto Insta Amicalement gouine. Adèle la racconta “peregrinazioni” in termini di espressione di genere: se “le lesbiche non sono donne”, come ha scritto Monique Wittig, quindi cosa sono?

E poi c’è la famiglia, quella che creiamo per noi stessi. La forza di una comunità alla quale, per alcuni, non avremmo mai pensato di appartenere. I (bellissimi) bambini che mai avremmo immaginato di avere e che oggi illuminano la vita. Diritti nuovi, ma così fragili, che vanno tutelati. Quelle che non osiamo affermare, per paura dell’omofobia. Inoltre, quando hanno un figlio e non lo hanno portato loro stesse, “Il 33% delle donne nelle coppie lesbiche sceglierà di rinunciare ad affermarsi [leurs] diritto all’accoglienza del minore, anziché al coming out” al lavoro, ricorda Marie-​Clémence Bordet-​Nicaise nell’episodio I nostri figli stanno bene, che conclude il documentario. Un film toccante che, se da un lato mostra le insidie ​​che continuano a ostacolare le lesbiche, dall’altro porta con sé molta gioia.

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