Fissare un obiettivo di 3.000 dollari per oncia d’oro non è così irragionevole

Fissare un obiettivo di 3.000 dollari per oncia d’oro non è così irragionevole
Fissare un obiettivo di 3.000 dollari per oncia d’oro non è così irragionevole
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Una disaffezione del mercato per le tradizionali valute di riserva, sulla scia del declino delle finanze pubbliche, dovrebbe alimentare il desiderio di diversificare rispetto alle valute cartacee.

Il metallo giallo continua a salire da diversi mesi e la tensione sui rendimenti reali del dollaro non ha fermato questo movimento al rialzo. Questo contesto positivo consente all’oro di mostrare una delle migliori performance tra gli asset “tradizionali” nel 2024.

Con il passare dei mesi, la barbarica reliquia spinge i limiti di un’ascesa che nulla sembra poter far deragliare, aprendo la strada verso obiettivi di 3.000 dollari l’oncia, secondo alcuni. Obiettivo credibile o semplicemente visione (euforica) del momento?

Con la decisione di avviare un processo di allentamento delle redini monetarie, la Federal Reserve ha alimentato le aspettative di un’ulteriore riduzione dei tassi di interesse nei prossimi trimestri. Se la questione dell’entità del calo del costo nominale del denaro rimane aperta nel medio termine, si può legittimamente ritenere che la sua direzione non dovrebbe deludere gli investitori nel medio periodo.

Questo sostegno dovrebbe, inoltre, trovare un alleato negli sviluppi prevedibili sul fronte dei tassi di interesse reali; infatti, se il processo di calo dell’inflazione statunitense ha accelerato negli ultimi mesi – un fenomeno parzialmente imprevisto – è lecito scommettere che i prossimi mesi vedranno più una stabilizzazione dell’aumento dei prezzi che una continuazione del recente movimento. Abbastanza per sostenere un calo dei tassi di interesse reali sulla scia delle azioni più accomodanti della banca centrale americana.

Sia la riduzione nominale che quella reale del costo opportunità dell’oro possono quindi aiutare i prezzi dell’oro ad aumentare nel medio termine.

Conosciamo la correlazione storica (negativa) tra il prezzo del metallo giallo e l’evoluzione della moneta dello Zio Sam. La relazione recente del prezzo di questi due beni non è stata necessariamente coerente con quanto ci saremmo aspettati osservazione del passato più lontano. Il che non significa, però, che il rialzo del metallo giallo sia in pericolo. Altri fattori (vedi sotto) potrebbero spiegare la minore prevalenza della questione del dollaro nell’andamento del prezzo dell’oro.

La questione del futuro del biglietto verde è oggetto di interrogativi nel contesto del riorientamento della politica monetaria oltre Atlantico. Va infatti notato che se i grandi finanziatori americani sembrano aver definito una strategia (relativamente) chiara per gestire la situazione interna e i suoi rischi, la BCE sembra (ancora una volta) soggetta a procrastinare mentre la Banca del Giappone è ormai impegnata in una processo di restrizione monetaria. Dovrebbero essere presi in considerazione movimenti di indebolimento del differenziale retributivo a svantaggio della valuta americana rispetto ad altre valute, ma dobbiamo rimanere cauti sulla portata che questi raggiungeranno.

Pertanto, poiché nessuna valuta presenta fondamentali brillanti, possiamo pensare che il dollaro sia gravato da un potenziale di declino limitato, almeno rispetto alla valuta europea. Non contiamo quindi su un sostegno significativo derivante dal comportamento delle valute (in questo caso caduta del dollaro) che possa facilitare una progressione del metallo giallo verso i 3.000 dollari l’oncia.

Tuttavia, una forma di disaffezione degli investitori per le valute di riserva tradizionali, sulla scia del forte deterioramento delle finanze pubbliche che stiamo osservando nei grandi paesi, dovrebbe alimentare il desiderio di diversificare rispetto alle valute cartacee e alimentare un ulteriore aumento dei prezzi dell’oro.

Quest’ultimo punto è tanto più vero in quanto le questioni geopolitiche (Ucraina, rivalità USA-Cina, ad esempio) stanno alimentando un movimento globale volto a ridurre l’esposizione alle valute dei paesi sviluppati, con il dollaro USA in testa. In generale, le significative incertezze (geo)politiche del mondo spingono gli investitori ad accumulare beni rifugio, in prima linea ovviamente l’oro.

Va infine sottolineato che gli studi difendono l’idea che alcune strategie di momentum (CTA), influenzate dalla brusca accelerazione del rialzo dei prezzi del metallo giallo negli ultimi mesi, costituiscano una potenziale riserva di domanda per i prossimi mesi. Abbastanza per aggiungere un fattore rialzista al metallo giallo.

In conclusione, il contesto globale sembra deporre a favore di un test dei 3.000 dollari l’oncia in un futuro non troppo lontano. Tale prospettiva deve rimanere il principio guida per il posizionamento sul metallo giallo nei prossimi 12-18 mesi.

Ciò non significa che un consolidamento dei recenti guadagni non sia possibile. A questo proposito, se le prese di profitto sull’oro dovessero spingere i prezzi verso 2450 nel breve termine, ciò costituirebbe una buona opportunità di investimento puntando su un test di 3000 dollari l’oncia in una fase successiva.

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