Loïck Peyron: “La Transat inglese ha cambiato tutto”

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La Transat CIC (Lorient – New York), partenza domenica 28 aprile

Perché questa sdraio rimane un riferimento?

Loïck Peyron: Perché era già il primo. Nel 1960 abbiamo visto questa regata transatlantica organizzata dalla famosa Blondie Hasler che prese il via: sulla prima erano solo cinque. Ero appena nato. Poi, la Francia scoprì cos’era questa corsa transatlantica grazie a un certo Éric Tabarly che vinse la seconda edizione. Ci dimostra che la vela è uno sport, non riservato ai velisti ma agli atleti che provano grande piacere nello stare da soli in mare, regatare e vincere gare.

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L’oblò di coperta inventato da Éric Tabarly per sorvegliare le sue vele, all’asciutto. (Foto Philippe Eliès)

La vittoria di Tabarly ha cambiato tutto secondo te?

Nel 1964, grazie a lui, i francesi scoprirono il mare e il mare aperto. Nello stesso periodo in Francia c’era la scuola Glénan, la vela si diffondeva, arrivavano le prime barche di plastica. Inoltre, sulla seconda edizione della Transat inglese, ci fu la prima barca di plastica, era una Golif. Quell’anno la Francia non scoprì il mare ma il fatto che non erano solo i pescatori, i marinai di commercio o i soldati ad andare in acqua, i francesi scoprirono la nautica da diporto. Negli anni Sessanta abbiamo progettato il Concorde, abbiamo costruito centrali nucleari e autostrade, volevamo anche battere gli inglesi su un terreno dove loro avevano dominato per secoli, cioè gli oceani.

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Una barca leggendaria, una regata leggendaria, uno skipper eccezionale. (Foto Philippe Eliès)

Senza questa regata transatlantica e le due vittorie di Eric Tabarly, pensi che le regate d’altura sarebbero quello che sono oggi in Francia?

Éric Tabarly ha avuto una profonda influenza, non solo nell’architettura navale ma anche nel modo di affrontare questo sport in solitaria. Prima di lui abbiamo avuto dei velisti inglesi che si servivano un po’ di tè alle 17, che dormivano tutta la notte nel sacco a pelo se le condizioni meteo lo permettevano, mentre Éric Tabarly regatava sull’Atlantico lanciando spinnaker solitario. Era chiaramente al di sopra della mischia. Nel 1964 non ce n’era uno che arrivasse vicino alla sua caviglia, tanto meno nelle dimensioni del suo Pen Duick II lungo 14 metri costruito in compensato nei cantieri Costantini di La Trinité. Ma ha cambiato il volto del nostro piccolo mondo, del nostro piccolo villaggio di vela, che è diventato nel tempo, grazie prima a Tabarly, quello che è oggi. Vale a dire il leader nel mondo delle regate offshore con equipaggio ridotto. Questa sdraio ha cambiato tutto.

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Loïck Peyron: “Non credo che esistano sdraio facili e sdraio difficili”. (Foto Vincent Olivaud)

I velisti solitari sostengono che si tratta della regata transatlantica più difficile: per quale motivo?

Non credo che esistano sdraio facili e sdraio difficili. È vero che al Nord le condizioni sono più fresche, che passiamo per Terranova, che abbiamo la corrente nel naso, che andiamo contro i venti dominanti ma, nel complesso, non credo che sia più difficile di una Route du Rhum. Ok, finisci la Route du Rhum con gli alisei caldi ma devi essere estremamente vigile in caso di burrasche. Storicamente e statisticamente mi chiedo addirittura se non ci siano stati più capovolgimenti sulla Rhum che sulla Transat inglese. Tutte le sdraio, soprattutto quelle realizzate su imbarcazioni difficili come i multiscafi, sono difficili. Ebbene, il transatlantico inglese, si naviga di bolina ma le barche di oggi sono meno scomode di prima grazie ai piloti automatici.

Undici vittorie francesi in quattordici edizioni: come spiegare tanta dominazione francese su una corsa transatlantica di origine inglese?

Non c’erano francesi nella prima edizione, due nella seconda. Se non sbaglio, l’ultima vittoria anglosassone risale al 1980, con il successo di Phil Weld su un multiscafo su Moxie. Successivamente ci sono state solo vittorie francesi perché il 90% dei partenti erano francesi. Abbiamo questa cultura solitaria, abbiamo padronanza nella costruzione delle barche. Fortunatamente abbiamo degli stranieri che ritornano in questa corsa transatlantica, come il tedesco Boris Herrmann. Del resto i francesi alla partenza erano così tanti che gli inglesi limitarono la dimensione delle barche a 60 piedi (18,28 m): quando videro sbarcare Alain Colas con il suo mostro (NdR: i 72 m di “Club Med”) nel 1976 ebbero paura. Ma resta un problema, abbiamo troppi francesi che vincono gare in solitaria, sarebbe bello che uno straniero vincesse il Vendée Globe, ad esempio.

Plymouth dal 1960 al 2016 e ora Lorient: cosa cambia?

Cambia tutto per me. È come la Parigi-Dakar che non parte più da Parigi e non va più a Dakar: la chiamiamo ancora Parigi-Dakar. Se sposti il ​​Palazzo di Versailles a Tokyo, non sarà più il Palazzo di Versailles. Nel 1981, avevo 21 anni, era la prima volta che scoprivo Plymouth, c’erano ancora le miniere di carbone sulla banchina. Ho avuto la fortuna di sperimentarlo e non ho mai iniziato una sola regata transatlantica inglese in un posto diverso da Plymouth. L’ultima volta, nel 2016, ci sono andato con la Pen Duick II di Eric Tabarly (ndr: a metà strada ha dovuto tornare indietro).

Newport, New York, Boston: quale di queste città è la più magica per un arrivo?

L’arrivo veniva spesso giudicato a Newport ma nel 2008, quando vinsi un’Imoca su Gitana Eighty, l’arrivo fu a Boston. Non sono stata a New York ma arrivarci è uno spasso. È il simbolismo americano e lo trovo carino. Quando arrivi sotto il ponte di Verrazzano è impressionante e davvero incredibile. Newport è storicamente ricca di Coppe America ma di pochissime regate offshore.

Come reagisce il pubblico americano all’arrivo delle sdraio europee?

Quando arrivi negli Stati Uniti non c’è nessuno, non c’è interesse locale per quello che abbiamo appena fatto e non credo che ce ne sia più oggi. Quando arrivi, trovi qualche giornalista francese che ti dice ben fatto e, molto presto, un doganiere che ti chiede 50 dollari per il diritto di mettere piede sul suolo americano. Nel 1996 vinsi e, mentre passavo lungo il molo di Newport, sentii un’ovazione pazzesca, qualcosa di incredibile con migliaia di persone, come se fossimo alla partenza di un Vendée Globe. Il rumore era pazzesco e, osservando più da vicino, mi sono reso conto che, tra le migliaia di persone che urlavano, nessuno guardava nella mia direzione (ride). Tutti davano le spalle al mare e guardavano gli X Games estivi (n.d.r.: competizione annuale di diversi sport estremi). Il nostro sport della vela spesso non ha alcun impatto sul luogo in cui arriva.

1992, 1996 e 2008: qual è la migliore delle tue tre vittorie?

Non esiste una gerarchia. La cosa bella è la trilogia. Tabarly ne aveva vinte due, io tre. Questo aggiunge un po’ di peso alla mia storia personale. Non me ne vanto tutti i giorni ma ne sono molto orgoglioso. In particolare per aver raggiunto questo obiettivo su due media molto diversi. L’ultima vittoria sul monoscafo Imoca è stata bellissima perché sono arrivato di notte a Boston con un clandestino, Vincent Riou, che avevo salvato perché stava affondando, tre giorni prima, sotto Terranova.

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Loïck Peyron (Fuji) vinse la Transat inglese nel 1996 dopo 10 giorni, 10 ore e 05 minuti di corsa. (Foto archivio DPPI)

Se dovessi rifarlo, ripartiresti su questa sdraio al timone di un trimarano Orma?

Oh no ! Non mi piace dire che prima fosse più difficile, ma in questo caso lo è stato. Era molto più un mal di testa di quanto lo sia oggi. Negli ultimi cinque-dieci anni, i piloti automatici hanno fatto enormi progressi, sia in multiplayer che in mono. Oggi c’è molta meno ansia nel navigare su un multiscafo ma anche su un monoscafo. Se ci aggiungiamo i sistemi di rilascio dei bug potrete andare a dormire sonni tranquilli, cosa che prima non accadeva. Ho attraversato l’Atlantico 35 volte e ho avuto dei periodi caldi. Non per niente oggi ho così tanti capelli bianchi.

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Loïck Peyron: “I trimarani Orma erano davvero molto insidiosi…” (Archivio fotografico DPPI)

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