DITZ – ‘Non espirare mai’ – Mowno

DITZ – ‘Non espirare mai’ – Mowno
DITZ – ‘Non espirare mai’ – Mowno
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Album / Repubblica della / 24.01.2025
Rumore post punk

Brutalmente, l’imitazione di un respiro regolare ma troppo precipitato, come un arrivo ansioso di qualcosa di terribile, che non tarda a manifestarsi: una prima scarica elettrica, poi una seconda più assordante, amplificata ancora e ancora fino a diventare spaventosa, come se all’improvviso un velo si squarciasse per lasciare emergere la realtà di un mondo in procinto di crollare. Stupore puro. Ovunque siamo nel momento dell’ascolto, V70l’introduzione strumentale di Non espirare maiil nuovo album di Direlascia l’impressione che davanti a noi si sia aperto l’inferno. La Grande Regressione Risuonano ancora nelle nostre orecchie: come annoiarsi di un monumento del genere, con una ferocia così unica? -, e non possiamo fare a meno di temere, lanciando il secondo album del gruppo di Brighton, la delusione. I 2 minuti e 16 dell’inizio spazzano via ogni apprensione per consentire la certezza di un cataclisma imminente, un incredibile eccesso nella rivelazione senza compromessi sia di tutti i nostri attuali tormenti ma anche delle forze che ci permettono che ci permettono che ci permettono che ci permettono che ci permettono noi che ci permettono di affrontarlo. Sappiamo che il resto sarà violento, divorato dall’ansia e dal disgusto per ciò che siamo diventati tutti -psicologicamente, socialmente, politicamente, spiritualmente-, ma spingiamo anche un potere a venire, di coloro che, poiché “si assumono il reale, rendono possibile la sua metamorfosi. Ed è in questo senso che Non espirare mai è un’opera semplicemente titanica, che si colloca nel campo delle rovine della civiltà occidentale per rivelare non solo la sua portata, ma anche i mezzi per creare qualcosa di nuovo con questi lembi di un mondo in agonia. Più di una volta, ascoltando i dieci titoli che lo costituiscono, diciamo che questo album va molto, troppo lontano – non ha respiro – ma che, sempre, siamo pronti a seguirlo nei suoi eccessi, totalmente rapiti dai suoi folli determinazione, la sua inflessibile volontà di immergersi nel caos alla ricerca di un nuovo ordine. ‘Volevo dipingere il grido piuttosto che l’orrore‘dichiarò Francis Bacon; Detto questo, avremo diritto al pianto e all’orrore.

Il quintetto di Brighton mobilita qui, ancora una volta ma con un’efficienza decuplicata, la sua ritmica implacabile – di cui possiamo ancora meglio la pesantezza e la potenza devastante sul palco – ma anche questa straordinaria combinazione di elementi elettronici e chitarre che suonano a volte come strumenti chirurgici destinati a tagliare la carne con precisione , a volte come strumenti di demolizione, tipo perforatore, scalpello o brezza. Ciò che suona nuova è piuttosto la voce di Cal Francis, a volte pacatamente rassegnata o freddamente descrittiva, spesso spinta nel baratro dai suoi ululati, che non sappiamo bene se siano disperati o combattivi. Il leader dei Ditz si esibisce qui in performance vocali affascinanti, sfumando la sua canzone facendolo passare dall’esplosività che già conosciamo ad una sorta di parlato inquietante che gli permette di far emergere i grani ruvidi della sua voce. Queste variazioni aiutano a fare Non espirare mai Un’opera potentemente incarnata. È anche uno degli aspetti più sorprendenti di questo disco permettere ad una presenza fisica particolarmente sorprendente di affermarsi: ogni suono, ogni parola pronunciata, cantata o mostrata rivela un intenso rapporto con il corpo. La carne è viva, le ossa si spezzano o sembrano confondersi, il sangue si accumula, ribolle o sgorga. C’è lì una massa organica mostruosa e scatenata nelle sue diverse manifestazioni, che si esprime con una forza sorprendente.

Quindi, il diabolico yo-yo di tassista Può farti ballare, ma la violenza dei movimenti prodotti mina le articolazioni, minaccia il corpo di smembramento. Subito dopo, è un’accelerazione continua, del tutto demenziale, di Spazio/Sorriso che dà l’impressione di trovarsi su un razzo che squarcia la gravità terrestre per partire verso l’ignoto, salvo che la corsa si ferma improvvisamente e inspiegabilmente per lasciare spazio a una triade infernale che unisce devastanti groove industriali e momenti di pura rabbia che conducono alle porte della follia . Signore sinistro vede la sua travolgente confessione iniziale (‘Mi sento come un cane in macchina d’estate‘, tra le altre frasi disperate) per passare ad una trance tanto malsana quanto frenetica. Quattrola canzone più ballabile dell’album, ci gestisce male e ci scuote senza pietà. Finalmente, Dio su una chiamata rapidacon i suoi effetti di proiezione ancora più screpolati dei precedenti, aumenta il livello di intensità da una tacca per fermarsi improvvisamente ed inspiegabilmente, al suo apice. Come con Spazio/Sorrisoe come aveva spesso fatto nel suo primo album, gioca con i nervi dei suoi ascoltatori, li taglia nel loro slancio provocando ciò che è necessario per frustrarli, disorientarli, costringerli a mettersi in discussione per riorientarsi.

Dopo questo momento particolarmente catartico, accumulando i bangers più inquietanti ed isterici che il gruppo ha composto, avviene un rockeggio: il tempo subisce molte più variazioni, con momenti più lenti ma non necessariamente più sereni, abitati come sono da una sorda minaccia. Puzza come se qualcosa fosse morto quisenza dubbio il titolo più spaventoso dell’album, presenta un’atmosfera di desolazione, ossessionata da ciò che è scomparso e in attesa di un futuro orrore. Passiamo più velocemente Wheelersolo (relativa) debolezza di Non espirare maiper raggiungere quello che probabilmente è il suo vertice, Il corpo come struttura. La prima parte del brano espone clinicamente un rapporto con il corpo non determinato dalla sua costituzione organica, sullo sfondo di tintinnii metallici che richiamano l’universo chirurgico, e rivelando la capacità di ognuno di agire sulle forze che ci attraversano per riorganizzarci fisicamente. Poi, la seconda parte aumenta d’intensità la bella e dolorosa melodia, insolita per Ditz, rendendo l’ammissione di Calcis ancora più toccante:E mentre metto in luce il mio volto, mi aggrappo all’orrore‘. Infine, ritorna l’uragano elettrico, innescando un godimento spaventoso che non sappiamo se libera qualcosa o precipita in un nuovo tormento. Britneyper finire, si distende prima lentamente, una voce profonda incollata al nostro orecchio, prima che la chitarra, ripetitiva, pesante e ipnotica, acquisisca via via potenza per espellere l’ultimo soffio dell’album, fino al ritorno di Un silenzio che non è mai sembrato così rumoroso , lasciandoci con questa osservazione del disastro: “Costruiamo… abbiamo fallito, ci siamo arresi‘.

Non espirare mai Compie l’incredibile tour de force per offrire un suono equivalente all’ostilità senza precedenti del nostro tempo, rivelando l’immenso potenziale di distruzione che lo accompagna. La nostra realtà collettiva e le sue conseguenze su scala individuale sono esposte, lì, nel modo più crudo che è, mentre la sovrasta e l’avvolge, la terribile massa oscura di tutte le abominazioni che ne derivano. Di qui questa impressione che non ci lascia mai, ascoltando questi dieci brani essenziali, di trovarci al cospetto di qualcosa di stolto nella sua nera immensità, nel cui cuore tuttavia si leva la mia voce vorticosa, mi-ruscutante Calcis, una sorta di moderna pizia ispirando una strana fiducia, come se accettando di tuffarci con lei nel vortice pensassimo di poter trovare le condizioni di un nuovo ordine di cose. Non espirare mai indubbiamente irrompe la singolarità di Ditz, attirando tutto ciò che si avvicina alla sua orbita per coinvolgerlo nelle sue tenebre profonde, peraltro infinitamente più frequentabili di quelle che ci circondano ogni giorno sempre di più e, chissà, coprendo per un momento ancora indetestabile una luce.

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