Rock: Peter Doherty dice tutto

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Nel suo libro di conversazioni Un ragazzo affascinante (Le Cherche Midi, 2024), che ricorda quasi il Confessioni di un mangiatore d’oppio inglese, il leader dei Libertines ed ex di Kate Moss si riconcilia con se stesso.


Meglio tardi che mai, dice l’adagio. Infatti, è grazie alla pubblicazione di Peter Doherty, un ragazzo affascinante, questa lunghissima intervista tra l’ex cantante dei Libertini E Babyshambles e il giornalista Simon Spence, che ho finalmente incontrato l’anima di Peter Doherty.

Sì, ammetto che mi mancava la “Libernitinemania” dei primi anni 2000. Come un Mallarmé del rock’n’roll, sentivo di aver ascoltato tutti i gruppi britannici, che mi piaceva il Perversioni dove il Sottotono lasciarmi impressionare da un altro gruppo chitarristico ispirato agli anni ’60, con un bel cantante – uno di quelli che vengono descritti con l’abusato termine dandy, il suo corteo di droghe, groupie e scandali.

Gentile

Oh quanto mi sbagliavo. Va detto che Peter Doherty, attraverso questo libro, questa lunga conversazione con se stesso – che ricorda un flusso di coscienza alla Joyce – sembra essersi salvato la vita: “ Ero pulita da un anno, ma ancora un po’ fragile, tanto che accoglievo questi incontri con Simon come una routine salvavita. In sua presenza mi sono aperto come non avevo mai fatto con nessun giornalista, forse troppo, perché in verità non tenevo nulla per me. Più di un anno dopo, miracolo inaspettato, sono ancora pulito.” scrive nella prefazione. Tuttavia, il libro non parla solo di terapia. Attraverso la sua costruzione folle e barocca, trasuda molta grazia; per me è addirittura una delle più belle storie sulla droga che abbia mai letto. Non so se sia giusto dire che una storia sul mondo sotterraneo dei (facili) paradisi artificiali può essere divertente e rinfrescante, ma Doherty ci mette così tanta sincerità e candore che è proprio questo il caso. Siamo lontani da Christiane F e Burroughs, se dovessimo assolutamente cercare un lignaggio, sarebbe ovviamente dalla parte del britannicissimo Thomas de Quincey, e del suo Confessioni di un mangiatore d’oppio inglese.

La droga era parte integrante dell’intero essere di Doherty. Era l’eroina che gli scorreva nel sangue e i fumi del crack che gli annebbiavano i polmoni. Queste due sostanze sono infatti la sua alfa e la sua omega. Erano la sua iniziazione e il suo disastro.

Doherty non intellettualizza il suo rapporto con la dipendenza, e questo è un bene, è questo che gli dà questa leggerezza e questa distanza. Racconta il suo primo scatto senza enfasi, non ne parla come di un incontro romantico, ma come di un rito di passaggio un po’ fallito, anche se rivelatore: “ Una prima dose piena, cazzo, ero completamente fatto nella vasca da bagno, e ricordo di aver pensato: “Non me ne frega niente di questa merda, non lo farò mai più”. » Il tizio che lo ha ribaltato, un tizio di nome Wolfman, aveva “ hanno bisogno di sostanze per creare calma. » Sicuramente il giovane Peter, che era un poeta e sognatore adolescente, affascinato e terrorizzato al tempo stesso da un padre militare, e che non amava altro che ascoltare I fabbri nei cimiteri, cercavo quella stessa calma. Ma invece trovò un caos indescrivibile. Infatti, il numero dei suoi trattamenti di disintossicazione è da capogiro, fuma crack anche nelle sale degli aeroporti, commette molteplici rapine, svaligia persino la casa del fratello nemico, Carl Barât, per pagare le sue dosi. . Uno dei momenti più sorprendenti della lezione britannica nel libro è quando dice che pensava di sembrare elegante nel suo abito da carcerato. Oscar Wilde non avrebbe smentito questa frase.

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Tuttavia, questa rabbia autodistruttiva provoca paradossalmente una sorta di gioia e molta poesia. Pete vive una vita bohémien, un giorno in un palazzo, il giorno dopo in uno squat. Fino al suo recente trasferimento a Etretat, non ha mai posseduto una casa propria. Non si è mai veramente sentito una star, paragona la fama a un’operazione militare; non parla del palco come di un luogo emozionante, e sembra preferire filmarsi su YouTube mentre suona cover con la chitarra acustica, senza i suoi crismi da rock star, proprio come un ragazzino solitario che sogna la fama nella sua cameretta.

E lì capiamo che questa fuga in fondo era solo una ricerca: quella del paradiso perduto dell’infanzia, perché è ovviamente il bambino che c’è in lui che Pete stava cercando, come molti di noi. Il suo orsacchiotto, Pandy, non si è mai allontanato dal suo fianco. Non faceva uso di eroina né crack, Pandy era il suo sosia “pulito”, il suo angelo custode. Fino al giorno in cui Kate Moss gli dà fuoco. Come una fenice, Pete ha saputo risorgere dalle ceneri di Pandy, al punto da assumerne le sembianze, visto che oggi somiglia ad un contadino gentiluomo paffuto come un orsacchiotto di peluche. E allora? Sembra finalmente essersi avvicinato a se stesso.

Inoltre, il documentario che sua moglie Katia de Vidas ha realizzato su di lui si intitola: Straniero nella mia pelle. Cos’altro posso aggiungere? Niente. Lasciamo semplicemente parlare un genio: “ Una volta lasciata l’infanzia, bisogna soffrire molto a lungo per rientrarvi, così come alla fine della notte si ritrova l’alba. » Bernanos.

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