puntata • 4 del podcast I segreti dell’imitazione

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Il segno che c’è un paradosso nella nozione di imitazione non si trova solo dalla parte dell’attore o del produttore o del creatore dell’imitazione, ma anche dalla parte di un altro personaggio che spesso dimentichiamo quando pensiamo al nozione di imitazione, è lo spettatore dell’imitazione. L’imitazione non è sempre uno spettacolo di secondo grado. L’imitazione è prima di tutto un atto: imitiamo per imparare, i bambini imparano limitandosi, il meccanismo mimetico è al centro dell’apprendimento sociale di ogni comportamento. È anche al centro della creazione artistica ed è anche al centro della rivalità romantica. È un atto che attraversa tutta la nostra società, che presenta ambivalenze molto profonde, un paradosso molto potente poiché la limitazione che sembra secondaria è in realtà una produzione attiva nel bene e nel male.

Ciò che molto spesso dimentichiamo mentre lo viviamo, è che esiste ancora un secondo grado di imitazione, come un secondo giro di vite, è che un essere umano che imita un altro può metterlo in scena e farne uno spettacolo. Sono quelli che chiamiamo imitatori o mimi, che imitano un comportamento di secondo grado, ad esempio il like mimo Marceau, che riproduce nel silenzio e con i gesti delle mani e del corpo comportamenti che normalmente implicherebbero il linguaggio del dialogo. È tutto solo sul palco con il suo abito bianco e il viso dipinto, eppure riconosciamo il comportamento degli esseri umani.

La risata, un “piacere maligno” secondo Bergson?

Ci sono anche comici che, ad esempio, imitano i tic linguistici dei potenti, li caricaturano e ci fanno ridere con l’imitazione. Allora perché proviamo questo piacere nelle imitazioni? Naturalmente dobbiamo vedere qui un piacere metafisico, un piacere della conoscenza come lo vedeva Aristotele nel Mimesi dell’atto creativo. C’è forse anche un piacere un po’ perverso, questo piacere quello Bergson visto nel suo strano libro La risata, che si concentra sulla risata provocata dalla commedia. Per Bergson il piacere che si prova nel ridere è quello che potremmo definire un “piacere maligno”. È un brutto piacere. La risata è un brutto scherzo, ci prendiamo gioco di qualcosa, per criticarlo, per punirlo, e la società può essere feroce.

Imitare: piacere estetico e gioioso o critica politica e feroce?

“La risata è feroce e mira a riportare in riga la persona che vogliamo caricaturare perché si sarebbe allontanata dai meccanismi profondi della vita, dall’adattamento della vita alla società”, dice Bergson. La caricatura è allora un irrigidimento di una lacuna, qualcosa che forza la linea. In tal modo Carlo Filippo nei suoi disegni mostra volti che diventano pere, come il famoso volto del re Luigi Filippo, di cui distorce alcuni lineamenti per fare una pera e noi ridiamo. C’è anche un imitatore simile Thierry Le Luron limitando Giscard d’Estaing o successivi Nicolas Canteloup, imitando Jacques Chirac, o oggi nei caffè-teatro coloro che imitano i nostri leader contemporanei. Lo fanno solo per insegnarci i loro meccanismi più profondi? È un piacere estetico e gioioso o una critica politica feroce, che può diventare atroce come nelle caricature razziste o antisemite, mentre il piacere dell’imitazione diventa allora mostruoso?

Diffidare di un’imitazione che è essa stessa violenta

Dobbiamo diffidare del piacere dell’imitazione. È ambivalente. L’imitazione di secondo grado ha un potere critico, abbiamo il diritto e anche il dovere di imitare per criticare, per individuare meccanismi pericolosi, ma quando l’imitazione stessa diventa violenta allora forse è il massimo del dramma.

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