Libro aperto: direzione inversa

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Il paziente sviluppo dell’azione sociale che promuove la solidarietà sociale verso i più vulnerabili è in fase di inversione.

Non è la congruenza che viene utilizzata a loro vantaggio. No, è la critica alla loro incapacità di integrare i valori e la cultura dei ceti medi. Ora vengono designati come un fardello sempre più pesante per la società.

Questa profonda inversione dello stato sociale si traduce in una politica di attivazione. Dobbiamo produrre individui attivi, competenti e autonomi. Se non riescono ad integrarsi a livello sociale e professionale, è a causa della loro mancanza di responsabilità, mobilitazione e motivazione individuale.

Questa imputazione è alimentata da una sfocatura dei confini. Fino ad allora esisteva una netta distinzione tra inclusi ed esclusi, separati da una barriera simbolica insormontabile. Il vecchio sistema sociale era rassicurante, delimitando chiaramente i territori di intervento di ciascun pubblico.

Da allora assicurazione e assistenza hanno iniziato a fondersi. Interi settori della popolazione, sentendosi minacciati e dimenticati, arrivano a nutrire un profondo risentimento di rifiuto nei confronti dei più vulnerabili, accusati di essere trattati meglio di loro. Una grande stanchezza si è impadronita dei gruppi più integrati che si mostrano sempre meno disposti a pagare per i più poveri.

Quanto più le disuguaglianze si individualizzano, tanto più ci confrontiamo con gli altri. Mentre la dinamica redistributiva degli stati sociali ha funzionato per un certo periodo come un potente produttore universalista di uguaglianza, la nuova politica sociale valorizza il merito e la capacità di cogliere le opportunità. Il velo dell’invisibilità e dell’ignoranza è caduto sui gruppi più vulnerabili. Sono paragonati a barbari approfittatori, sospettati di non fare nulla per tirare avanti.

Questo cambiamento riguarda anche il lavoro sociale. I professionisti affrontano la sfida di quantificare la pratica che viene loro imposta, sulla base di criteri predefiniti prima della loro esperienza con le persone che supportano: vengono valutati l’efficacia, la redditività e l’impatto della loro azione. Mentre le persone con cui hanno a che fare non sono né astratte né disincarnate, né dotate di piena razionalità nelle scelte che fanno.

La loro attività non può essere definita al di fuori delle condizioni pratiche del loro esercizio concreto. L’autore parla di una solidarietà prudenziale che affronta temi concreti, presi in considerazione integrando le loro domande, le loro ansie e le loro sofferenze. Si tratta soprattutto di aiutarli, prendersene cura e proteggerli, riconoscendo le loro difficoltà.

E riconoscere l’altro è andargli incontro. È stargli attorno, vederlo, ascoltarlo, mostrare interesse per lui per permettergli di esistere attraverso la sua singolarità. L’opposto della visione antropologica di un individuo sovrano, preesistente l’interazione che deve essere “attivata”, “inserita”, “riadattata”.


Questo articolo fa parte della sezione “Libro Aperto”.

È firmato Jacques Trémintin


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Foto: freepik

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