Libro: quando Zadie Smith viene colpita da un fulmine

Libro: quando Zadie Smith viene colpita da un fulmine
Libro: quando Zadie Smith viene colpita da un fulmine
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Esiste un vettore ideologico più implacabile di un romanzo, purché magistrale – e questo lo è? L’impostura è di gran lunga il lavoro più essenzialmente politico di Zadie Smith. Sulla carta, si tratta di un romanzo storico – il primo del suo genere per lo scrittore britannico di origini giamaicane – costruito intorno a una vicenda che infiammò l’Inghilterra vittoriana, il cosiddetto affare Tichborne: un uomo di ritorno da un lungo viaggio in Giamaica che, 1866, si annunciò come Sir Roger Tichborne, erede di una grande stirpe scomparsa in un naufragio dodici anni prima. La madre lo “riconosce”, così come Andrew Bogle, ex schiavo giamaicano, testimone chiave del processo e che morirà convinto che “il ricorrente”, come viene chiamato, sia proprio “Sir Roger”. UN postulante” per il quale le classi popolari, entusiaste di questa lotta sociale, si faranno carico della causa, siano esse convinte o meno come Bogle.

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Zadie Smith non finge nemmeno di voler far entrare la sua prosa nello stretto corsetto del romanzo dickensiano. Maliziosamente fa esplodere i codici, la struttura, la temporalità; il punto non è la cronologia, anzi il contrario, come se dovesse essere maneggiata male per far emergere la verità, i capitoli sono frammentati, a volte solo un paragrafo feroce, il nostro romanziere ha l’arte della decostruzione e dell’ellisse. Ma ciò che bisogna dire è. Del resto, lo scrittore si limita a rivisitare questo XIX secolo in cui la schiavitù non viene detta per dire meglio tutto, tutto, tutto. Ha trovato un’eroina all’altezza di questa ambizione, di questa rabbia: la signora Touchet, Eliza di nome, “il difensore degli schiavi”, “uno spirito forte per nulla frenato dalla prudenza”, guardata dal cinismo, e anche dalla grazia, vedova, governante, confidente, amante, amante – della libertà e di colei che è l’unica a chiamare Frances, la prima moglie del cugino con cui vive e di cui è l’amante, William Harrison Ainsworth – uno scrittore fallito caduto nell’oblio realmente esistito, ha realmente pubblicato quarantuno romanzi, molti dei quali di successo.

La signora Touchet è la coscienza del romanzo; attraverso il suo occhio attento vengono portate alla luce le finzioni e le altre bugie che coprono il piccolo mondo delle lettere londinesi e questa società vittoriana che si rifiuta di vedere ciò che sta accadendo in Giamaica. Sarà ovviamente la signora Touchet a condurci in aula, insieme alla seconda signora Ainsworth. Lei che inviterà a cena il vecchio Bogle e che chiederà all’ex schiavo di raccontarle la sua vita. Questa ricostruzione è il cuore del libro, “ciò che ho scritto che mi rende più orgoglioso di tutta la mia vita di scrittore”, nelle parole di Zadie Smith al momento dell’uscita del libro in Inghilterra; cento pagine pietrificanti.

Vedova, cattolica, bisessuale, sagace e sarcastica, la signora Touchet ha tutto per diventare… una scrittrice

Basandosi sull’estrema dignità di Bogle, sulla sua modestia, sulla sua lealtà, la narrazione fa sentire gli ingranaggi. “Donne, uomini, bambini, neonati. Generazione dopo generazione. Suo padre. Sua madre. La nobile stirpe di Johanna. Tutto schiacciato. Queste menti arate. Questi corpi mutilato. Queste anime bollirono fino alla completa evaporazione. Questo carburante umano. Gira e gira il mulino. Da quando ? Un secolo ? Due ? Lo stalliere filosofico ne aveva menzionati tre. Falciare le persone, piantarne di nuove nelle buche. Tagliare mani, orecchie e seni. Una vasca piena di sangue. » Siamo quasi sollevati, quindi, nel ritrovare William, il suo “regalo di gioia” combinato con la sua mancanza di talento letterario. Gli sprazzi ironici di Zadie Smith che ritrae questo cattivo scrittore e la sua pessima letteratura solcano il testo di raggi di luce. «Come mai tutto ciò che scriveva era ridicolo, tranne quando si trattava di lei? » chiede Eliza, che sta attenta a non dirlo a sua cugina.

Alla fine, quest’ultima, ritrovata lucidità, le risuonerà nelle orecchie, e non una sola volta, la domanda cruciale: “Sono un impostore? » In ogni caso, in questo libro, gli scrittori – che non vedono nulla di ciò che li circonda, che vivono nella loro testa, che sono come bambini, e così via – lo danno per scontato. Anche i grandi, anche i miti. Eliza salda i suoi conti con Dickens, che era amico di William e che sospetta fosse un “vampiro”. La parola ricorre più volte, in particolare applicata a lei. Un modo per prefigurare la sua metamorfosi in scrittrice? Per questo ci vorrà il detonatore del suo incontro con Bogle. Nel frattempo sarà lei la musa di William. Una Musa che comprendiamo sapeva come maneggiare una frusta. Ma non andiamo troppo in fretta. La prima volta che lui la spinge contro il muro per baciarla, lei se ne accorge “la strana ma inconfondibile sottomissione di quest’uomo, qualcosa che non avrebbe potuto esprimere a parole. Nacque spontaneamente nella sua mente la visione di un ridicolo quindicenne che “correva lentamente” su un piccolo palco allestito in una cantina per meglio permettere a Gilbert di “tagliarlo” con una spada di legno. Non era quello che sembrava. Ma chi è? »

L’impostura di Zadie Smith, tradotta dall’inglese (Regno Unito) da Laetitia Devaux, Gallimard, 546 pagine, 24,50 euro. (Crediti: ©LTD / Gallimard)

Da un inganno all’altro. Sono ovunque, e prima di tutto nelle storie che ci raccontiamo e che il romanzo si diverte a scoprire una per una. “A volte, a letto, gli metteva il bavaglio in bocca, già perché sentiva che gli piaceva, ma a volte anche semplicemente per impedirgli di raccontare la trama del suo romanzo. » Le percosse lo zittiscono “tranne un mormorio di piacere.” Sarebbe solo divertente – l’umorismo secco e sagace di Zadie Smith è una benedizione se, poche pagine sopra, la stessa Mrs Touchet non fosse diventata l’amante della prima moglie di William, Frances, quindi, la lucidità morale resa femminile, “estraneo ad ogni vanità”, “troppo buono per questo mondo”, sguardo gentile carico di a “slancio oceanico verso gli altri”, chi ama suo marito e chi suo marito non ama abbastanza e chi non ha il senso dell’umorismo.

Dobbiamo vedere con quale abilità – scusate, oso – Zadie Smith opera lo spostamento verso il sesso tra le due donne: “Una famiglia di donne e ragazze in perfetta armonia. Progresso morale, opere di carità, preghiera silenziosa. Adornare. Le lettere di William annunciavano graditi ritardi: “Ho deciso di andare in Svizzera”. Due mesi dopo: “Torno in Italia”. Adornare. Una cosa derivava dall’altra, anche se la logica rimaneva oscura e troppo misteriosa per essere compresa. Con un dito. O con due dita. Due dita che penetrano in un fiore. Al buio, senza una sola candela accesa. Come se queste dita e questo fiore, che non formano due entità ma una, fossero quindi incapaci di commettere peccato. Il fiore penetrato da queste due dita ricordava i fiori selvatici delle siepi – come loro aveva petali, pieghe e pieghe – ma era anche miracolosamente caldo, umido e pulsante, perché era fatto di carne. Penetrato come da una lingua. Il bocciolo di una bocca. Su un altro bocciolo, apparentemente destinato a una lingua, laggiù. »

Torniamo ai nostri sensi: Eliza ha due Ainsworth tutte per sé e pensa di amare la “sua” Frances. In questo romanzo pirotecnico, come nella vita, inganniamo noi stessi almeno tanto quanto inganniamo gli altri.

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