Tutto è andato bene: il dramma di François Ozon divide [critique]

Tutto è andato bene: il dramma di François Ozon divide [critique]
Tutto è andato bene: il dramma di François Ozon divide [critique]
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Con Tutto è andato bene, tratto dal libro di Emmnuèle Bernheim, François Ozon firma un film sulla fine della vita con André Dussollier e Sophie Marceau. Sublime o accademico? Opinioni chiare.

Francia 2 ne approfitta l’uscita nelle sale di Quando arriva l’autunno trasmettere Tutto è andato beneuna delle ultime realizzazioni di François Ozon. Un dramma che ha diviso profondamente la redazione durante la sua proiezione a Cannes nel maggio 2021.

Versare

Emmanuelle Bernheim e François Ozon si conoscevano bene. Scomparsa il 10 maggio 2017, aveva firmato o cofirmato la sceneggiatura di quattro film del regista: Sotto la sabbia, Piscina (presentato in concorso a Cannes nel 2003), 5X2 et Ricky. Ma adattare Tutto è andato molto bene, una storia intima e dolorosa dedicata alla fine della vita del padre collezionista dopo un ictus (pubblicata nel 2013 da Gallimard e che Alain Cavalier avrebbe portato sullo schermo prima che la malattia lo sopraffacesse). doveva interpretare il proprio ruolo, come ha raccontato nel suo documentario Essere vivi e saperlo) non assomigliava affatto a un fiume lungo e tranquillo. In primo luogo perché quando si affronta il tema del diritto a morire con dignità si corre il rischio di cadere in un film puro sull’argomento, con l’atmosfera focosa di Dossiers de l’école. E poi perché conoscendo così bene colei che ha raccontato qui una parte così dolorosa della sua esistenza, c’era la tentazione di andare con il freno a mano, di non lavorare su ciò che ogni buon adattamento richiede: il tradimento.

Tutto è andato bene spazza via rapidamente queste due preoccupazioni. Lo sappiamo da allora Grazie a Dio La capacità di Ozon di affrontare un tema sociale forte senza farne un film puramente sociale, trovando un angolo (in questo caso, concentrandosi sul punto di vista delle vittime e mantenendolo). Ozon lo usa qui allo stesso modo osando accompagnare la descrizione clinica del desiderio di quest’uomo di porre fine alla sua esistenza prima di essere totalmente sminuito così come della difficoltà per le sue figlie di accettare la notizia e quindi di sforzarsi di rispettare i suoi desideri. in Svizzera attraverso una banalità o addirittura un umorismo che emerge inaspettatamente. Ozon non è Haneke, hanno sentito ieri i detrattori del film, al termine della proiezione stampa. Infatti no e questa è una notizia piuttosto buona. Perché ci sono necessariamente mille e un modo per raccontare questa storia. E proprio cercando di seguire le orme diAmore sarebbe stata l’idea peggiore di sempre.

Qui Ozon fa dialogare innanzitutto due facce del suo cinema: la potenza emotiva di a Sotto la sabbia e l’aspetto monello volutamente provocatorio di a Sitcom. Lo scontro degli opposti. E questa cronaca di una morte annunciata diventa affascinante proprio perché rifiuta di rinchiudere lo spettatore in una presa di ostaggi emotiva e osa andare fuori strada, nei momenti di imbarazzo, nelle risate insolite. La vita invade questa storia e la allontana da ogni tentazione mortale.

E questo lavoro si riflette in tutta la finezza della sua direzione degli attori. Messa in scena Sophie Marceau dopo diversi tentativi falliti, non la blocca in un ruolo al Ciao Pantin quasi a segnare con uno stabylo la differenza tra i suoi usi abituali. Al contrario, sa sfruttare quella folle naturalezza che da allora ha creato questo legame indissolubile con il pubblico francese. Il boom per condurlo pacificamente verso sfumature non ancora esplorate. E soprattutto ha l’intelligenza di non fare di lei il centro della trama. Innanzitutto associando il più possibile il personaggio di Emmanuelle Bernheim che interpreta a quello di sua sorella, interpretato con altrettanta precisione da Géraldine Pailhas. Ma soprattutto facendo del padre il personaggio simbolo di questo film che non ha mai paura di sconfinare nel regno della farsa.

Nella sua carriera, André Dussollier ha avuto raramente l’opportunità di affrontare ruoli puramente compositivi. Quelli in cui devi lasciarti andare, sfondare la corazza, non aver paura del ridicolo, non ritirarti nell’agio dell’emozione pura senza che trapeli niente o quasi. Dire che è qui impegnato in una corsa a premi (Cannes o César) sarebbe un insulto nei suoi confronti, poiché ha già potuto assaporare questi premi in gran numero. Ma ciò equivarrebbe anche a negare tutta una parte del lavoro di un attore. Quella che tanto spesso celebriamo quando si tratta degli anglosassoni ma a cui guardiamo turandoci il naso e spesso con grande ironico disprezzo quando si tratta dei francesi. Dussollier stupisce per i suoi eccessi, per la finezza che è capace di distillare per trascendere gli attributi fisici obbligatori e pesanti di un personaggio del genere (protesi, ecc.). Fa un grande atto di sci fuoripista e porta il film esattamente dove Ozon sembra volerlo mettere. In un luogo tutt’altro che avvolgente e rilassante ma inquietante e perfino scomodo che non obbedisce precisamente ad alcuna regola prestabilita. Esattamente quello che hanno provato nella loro carne coloro che si sono trovati di fronte ad una identica tragedia

Thierry Cheze

Produzione di mandarini e FOZ / Carole BETHUEL

Contro

Con le uscite scarsamente distribuite di film in fin di vita (Cadente, Il Padre…, nell’attesa di scoprire qui il Vortice di Gaspar Noé), finiamo per chiederci se i cineasti non stiano cercando di dirci qualcosa. I loro rispettivi spettri avrebbero annunciato un’apocalisse? Questa non è una novità. Fin dalla sua nascita il cinema venne subito percepito come una vecchia signora destinata presto a estinguersi. E quella che si vede sui grandi schermi da quasi 120 anni non è che una lenta agonia. Tutto è andato bene François Ozon oggi ci rassicura, la morte tanto desiderata è arrivata senza dolore. I gemiti del vecchio (André Dussollier, volto distorto come in parata e la consegna scioccata della persona torturata nel modo: “ Giuria, mia buona Giuria, guarda, c’è tutto! »), sono solo antipasti prima della cancellazione.

« Ben andato » quindi, come la messa in scena di un cineasta di esemplare saggezza, che di film in film cerca di macchiare il proprio tappeto ma alla fine finisce per pulire tutto dietro di sé. Questo cinema, indolore, piatto, si inserisce facilmente e non sopporta una rilettura assidua poiché tutto viene detto e mostrato senza mai nascondere nulla (Grazie a Dio non fa eccezione). Quindi, una volta passato l’effetto sorpresa di vedere un primo piano di Dussollier che gioca a letto, cosa possiamo aspettarci se non di scoprire, qua e là, in un occhio che rasenta un desiderio rapidamente represso di divertirsi con noi? Al suo capezzale, il cinema francese d’alto livello (Marceau – Pailhas) finge imbarazzo ma resta nel ruolo programmato di una casta borghese che siamo grati di non interpretare il ruolo del bohémien.

Vorremmo che tutti questi film, un po’ tutti simili, fossero il simulacro del loro stesso funerale. È ovviamente il contrario. Mostrano resistenza, aggrappandosi ai grandi fili di un accademismo sempre acclamato (Oscar, César…). Caso e colpa spazio-temporale, in mezzo a questa élite, un’opera inedita di George A. Romero, Il parco divertimentiè stato invitato al banchetto il mese scorso. Attraverso il calvario di un vecchio intrappolato in un parco divertimenti, il padre del morto vivente, ormai deceduto, ha dimostrato che parlare di vecchiaia non esclude la modernità del gesto.

Tommaso Baurez

François Ozon: “Le donne di 70/80 anni sono invisibili” [interview vidéo]

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