L’Imprimerie Rhode è uno dei luoghi popolari in cui i pittori possono presentare i loro dipinti. Cédric e Stéphanie Franques aprono loro i loro quadri in un ambiente e un’illuminazione che sanno metterli in risalto. La loro esperienza garantisce una selezione impegnativa degli artisti e delle loro opere: una ventina, non di più. Michel Ger è un ospite abituale della sala ricevimenti dell’Imprimerie. Fino al 3 febbraio possiamo vedere sedici dipinti, in stili diversi. Quella che conosciamo e che ha decretato il suo successo, un’opera semifigurativa in gran parte sganciata dalle forme dove il colore è l’architetto dei soggetti, una sorta di “tachismo dei graffiti” dove i toni si affiancano, colludono, si sovrappongono, dove il soggetto emerge da una piccola folla di piccoli motivi. San Giorgio che si staglia contro un cielo terso e sembra galleggiare su una laguna nera, i souk di Meknes e Fes di cui il dipinto trasmette l’atmosfera cavernosa, le pareti e le volte scrostate, il dedalo di vicoli-corridoi in cui una folla fa la sua modo. Ger prende in prestito dall’universo liquido che diluisce gli edifici e gli esseri.
Due stili diversi
Nei grandi paesaggi dell’Atlante, rosso cinabro e cremisi divorano le colline: la vita precaria è ridotta a piccole macchie bianche, poveri mechtas di valle, perduti nell’immensità dei toni caldi della montagna. Inverno a Venezia: la città levita sopra le nebbie della laguna, avvolta dallo stesso verde pallido dell’acqua e del cielo. Illusione di un’isola o di un gioiello nella sua cornice. Alcuni scopriranno un’altra Ger: il Vecchio ulivo di Creta, la Solitudine, la Sera, la Neve sulle pendici del Mauriac, il Quai Saint-Jacques… Il tocco è compulsivo, quasi riflesso, la matita o il pastello spazzano la carta in strisce fuligginose, nere è essenziale per delineare forme o mettere in moto una dinamica. La densità o profusione di motivi e colori è sostituita da spazi bianchi e una tavolozza minimalista. Dietro la mostra, una matita “emozionale”: la silhouette di Bernard Bistes negli anni Sessanta. Michel Ger paga un debito di gratitudine verso colui che per primo ha scoperto il suo talento.