Di Pierre Jasmin, artista per la pace
I nostri ideali infranti dal capitalismo decadente trionfante nella bruttezza televisiva degli eroi stupratori ci fanno rivivere una brusca caduta di ideali così forte da riportarmi a un mondo teatrale in cui avevo collaborato a Vienna, un mese prima del mio anno a Mosca nel 1978. : Ho poi contribuito all’opera Grandeur et decadence de Mahagonny di Kurt Weil e Bertold Brecht, che ne preannunciava la prima nel 1930 l’osceno avvento del nazismo.
Grazie all’arte esigente e poetica del favoloso regista tunisino stabilitosi a Montreal, Da là veniamo racconta la storia del ritorno di un ideale caduto, che immaginiamo sia la Jihad islamica intrapresa da due fratelli, la cui disperazione così nera non può essere ulteriormente gravati da qualunque giudizio: emerge, in una serie di slittamenti, l’intramontabile redenzione dei loro animi, seppur gravati da omicidi, questa volta alla maniera di Robert Bresson.
Le immagini magnificamente incorniciate con innumerevoli primi piani, in paesaggi di prati e coste tunisine infestate da attori divorati dai loro personaggi, ci immergono nell’eterno tema della devastazione bellica, raramente sfruttato così magistralmente, anche con la musica inquietante, ma non con la violenza del campo di battaglia. . Madame Joobeur rivolge il suo sguardo tagliente agli uomini interiormente combattuti.
La stragrande maggioranza dei nostri politici giudica gli immigrati con arroganza, arroganza e insensibilità, vedendoli nella migliore delle ipotesi come contributori alla piccola economia commerciale. Quanto al loro passato, preferiamo ignorare i loro percorsi disseminati di insidie, che il film Io, Capitano aveva scelto di illustrare in modo epico con due attori stravaganti. Tutto il contrario in questo umile film dove gli attori, seppure estinti, riescono inspiegabilmente a dar vita a questo nuovo magico esempio di arte cinematografica femminile: pensiamo a Mariloup Wolfe in Jouliks, a Barbeau-Lavalette in White Dog, a Maryse Legagneur in Le ultimo pasto o il tandem Danielle Trottier-Fabienne Larouche in Cœur Battant per le loro implosive esplorazioni dell’intimità, qui a porte chiuse implacabile dei rifugiati nel proprio Paese, prostrati nella disillusione di ritorno da un esilio che immaginiamo intrapreso nell’illusione di una crociata religiosa come Daesh.
Ma la regista non esprime mai giudizi, si accontenta di testimoniare le dolorose devastazioni di un ambiente di estrema povertà rurale con pastori molto diversi dal simpatico volontario del film di Deraspe. Quelli di Joobeur sono costretti ad affrontare il duro, durissimo compito della sopravvivenza elementare. Contempliamo, preda attonita, le insopportabili tensioni intrafamiliari che una donna, che ho chiamato Madre Coraggio con entusiasmo brechtiano, cerca di calmare, cercando con fermezza di conciliare un marito dai rigidi principi tradizionali con i suoi tre figli ancora in vita, il più giovane nelle gonne della sua amorevole madre.
Ma uno di loro ha riportato dalla Siria una donna non musulmana, anche se vestita con il burka, per sfuggire agli sguardi curiosi che volevano soprattutto giudicarla, una minoranza troppo esigua che cerca di comprendere e amare l’empio straniero. Ci muoviamo quindi, inesorabilmente, verso un risultato che percepiamo come sacrificale. Pertanto, il lavoro di Meryam Joobeur funge da specchio imbarazzante e rovesciato per la nostra società ipnotizzata dal falso glamour americano.
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