nella sala degli specchi dell’autofiction

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La scrittrice franco-tedesca Sylvie Schenk, nel 2016. PIETRO HASSIEPEN

“L’Eclat de Rire” (Roman d’amour), di Sylvie Schenk, traduzione dal tedesco di Olivier Le Lay, Gallimard, “Dal mondo intero”, 190 p., 21 €, digitale 15 €.

Francese residente in Germania da quasi sessant’anni, Sylvie Schenk abbandona la sua lingua materna per scrivere in un’altra che le era inizialmente estranea. Questo divario corrisponde alla definizione che lo scrittore svizzero Denis de Rougemont (1906-1985) ha dato dell’amore: un decentramento verso l’altro. È senza dubbio questa scelta, ragionata e irragionevole, questo elemento di presunta stranezza, che conferisce allo stile di Sylvie Schenk la sua concisione e precisione. Questa deviazione attraverso un’altra lingua, non imposta ma scelta, fornisce anche la distanza necessaria per ricordare al lettore che non si può mai cogliere con le parole il cuore delle cose che sempre sfuggono. È questa fragilità che, paradossalmente, dà la sua forza Lo scoppio della risata : il romanzo si apre come una noce la cui rottura rivela forme insospettate.

Tutto inizia con una conversazione tra una giornalista e un’autrice, Charlotte, il cui nuovo romanzo sarà presentato a un piccolo festival letterario nel nord della Germania. Mancano poche ore all’inizio dell’incontro, ed è in questa parentesi temporale che si svolge il racconto. A prima vista sembra un romanzo su un romanzo, prima che la conversazione si trasformi in un duello tra il giornalista, che cerca di approfondire la vita personale di Charlotte, e quest’ultima, che difende i privilegi della finzione.

Intitolato nell’edizione originale tedesca Romanzo d’amore, il romanzo scritto da Charlotte offre molte somiglianze tra una storia vissuta da quest’ultima e quella della sua eroina, Klara, insiste la giornalista. Ma quanto più ci si sforza di stabilire paralleli tra il reale e l’immaginario, tanto più si afferma la resistenza dell’altro. Non mette in luce solo vanità e negazioni superficiali, ma veri e propri imperativi narrativi. Perché, sostiene, quale mezzo migliore, per parlare della realtà, della deviazione dalla finzione? Quale modo migliore per dire quello che è successo se non attraverso la trasformazione dell’esperienza?

Mises en abyme

A rischio di infastidire Charlotte, la giornalista continua comunque a scavare: Klara, direttrice di una scuola in Irlanda, ha avuto una relazione con un insegnante sposato e padre – una relazione interrotta che le è quasi costata la vita. La stessa Charlotte, qualche anno prima, non aveva fatto un viaggio in Irlanda con un professore di cui era perdutamente innamorata e che l’aveva improvvisamente abbandonata per andare a cercare sua moglie, improvvisamente scomparsa? Una scomparsa brutale come una porta sbattuta, di cui, stranamente, il giornalista sembra avere la chiave.

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