“Non provavo alcuna passione per la riproduzione”

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Elisabeth Quin, sul set di “28 minuti”, a Parigi, il 19 settembre 2023. CYRIL ENTZMANN / DIVERGENZA

Giornalista conduttrice del programma “28 minuti” ogni sera su Arte, Elisabeth Quin ha una figlia di cui ha raccontato l’adozione in Cambogia nel Non sei la figlia di tua madre, (Grasset, 2004). Lei gli confida quello che sentiva “arrivo a destinazione” dopo aver incontrato suo figlio in un orfanotrofio. “Con il padre adottivo abbiamo palpato insieme”, dice della scoperta della vita da genitore. Si sono separati, poi è morto. La loro figlia, ora 22enne, vive in un monolocale a 400 metri da casa di sua madre. “La giusta distanza per essere fusionali”scherza quest’ultimo.

La prima volta che ti sei sentita mamma?

Quando ho adottato mia figlia non avevo punti di riferimento, non conoscevo un genitore adottivo. Mi sono buttato a capofitto in questo tipo di approccio del tutto aberrante all’adozione internazionale, senza sapere come sarebbe stato quotidianamente. Avevo due domande in mente: quando sarà mia figlia? Quando sarò sua madre?

In questo processo complicato mi trovavo di fronte al direttore di un orfanotrofio che aveva fretta, era sopraffatto, infastidito dalla mia lentezza per non ferire nessuno, dalla mia sensibilità occidentale che, secondo lui, non capiva nulla del contesto. E ad un certo punto ho visto questo bambino nella culla… È un ricordo visivo o è una ricostruzione? Non lo so, non importa. So di aver visto uno sguardo, che questo sguardo aveva due mani, che queste due mani erano aggrappate a una sbarra di legno, e questi due occhi mi hanno detto qualcosa. Non “tu sei mia madre” ma “portami fuori di qui”, almeno questo mi è sembrato di leggere in quegli occhi, “portami con te”. Da lì ho intrecciato e annodato la storia di un bambino che avrebbe potuto riconoscere la sua futura madre. Ho avuto questo flash: “Voglio essere sua madre”, in quel momento. Ma questo “tiratemi fuori di qui” potrebbe anche non essere un grido d’amore, piuttosto un “non voglio stare in un orfanotrofio, non è il mio destino”… Poi riscriviamo tutto questo.

Hai scritto che non avere un figlio biologico è stata una scelta…

La situazione ambientale, la situazione demografica rispetto alle risorse del pianeta… Mi sentivo a favore del declino demografico, non potevo immaginarmi di aggiungere un figlio. Non volevo riprodurmi. Era una posizione di cui avevo sussurrato. Agli occhi degli altri, il fatto di non volersi riprodurre fa di te un essere incompleto, una donna dubbiosa, sospettata di non voler far parte del grande collettivo femminile la cui missione è riprodursi e perpetuarsi. Ciò mi ha procurato reazioni sarcastiche, brutali e incomprensioni. Adesso la prendo con molta più calma. Non provavo alcuna passione all’idea di cercare me stessa e ritrovarmi diffratta nel volto, negli atteggiamenti, nei comportamenti di un bambino che sarebbe stato mio. Oltretutto era un’illusione, perché ovviamente mia figlia mi somiglia ed è la prima a divertirsi. Ma è mimetismo, è acquisito.

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