Non si ritengono sufficientemente formati: “impariamo dal mucchio”
Una formazione iniziale di 60 ore è ciò che beneficia AESH. Secondo loro insufficiente. “Non approfondiamo ciascuno dei problemi”, spiega Nadine Gasne, Aesh. Impariamo a conoscere il mucchio ”. “Ci vuole un vero piano di formazione e lo scambio di pratiche”, auspica Dalila Faivre-Belalia (Unsa Education). “Esistono formazioni più specializzate, ma l’AESH non le ottiene mai”, aggiunge Patricia Ganneval (Snuipp-FSU 39).
Formati da soli
Dopo un inizio di carriera nel campo dell’informatica, Marie-Pierre Clément è diventata Aesh nel 2010. “Ho imparato molto sull’autismo da sola, leggendo libri”, ricorda. Karine*, ex educatrice specializzata, è più diretta. “La formazione di 60 ore è inutile”, afferma. Ci vorrebbe un diploma statale con formazione di 1, 2 o anche 3 anni”.
L’ispezione accademica non ha la stessa visione. “All’educazione nazionale, non torniamo dal disordine ma dai bisogni dello studente”, spiega Jean-Michel Faivre, assistente del direttore accademico responsabile del servizio dipartimentale della scuola inclusiva. L’obiettivo è raggiungere l’autonomia dello studente. L’AESH ha accesso alla formazione continua dipartimentale se lo richiede. “
“A volte casi estremi”
Le AESH sono talvolta vittime di violenza commessa da bambini. “Mi sono già trovata al pronto soccorso”, dice Karine. Puoi seguire i bambini con autismo grave. Veniamo reclutati per gestire casi a volte estremi, con poca formazione e uno stipendio da miseria”. Il ruolo essenziale dell’AESH è ampiamente riconosciuto dagli insegnanti. “Offrono la possibilità di allontanare il bambino dalla classe in caso di necessità”, spiega Dalila Faivre-Belalia.
Secondo i sindacalisti, i bambini vengono accompagnati in classe dall’AESH mentre sono più dell’IME (Istituto medico-educativo) o dell’ITEP (Istituto terapeutico educativo ed educativo), accentuando le difficoltà. Lo conferma Jean-Michel Faivre: “Alcuni bambini aspettano un posto nell’IME e sono accompagnati in classe, ma abbiamo sempre meno questo tipo di situazioni. Anche la famiglia può dire no all’IME, ha l’ultima parola. È ancora necessario consentire la scolarizzazione del bambino”.
*Nome preso in prestito
Francia
Ciclismo