L'ultimo romanzo di Gwenaëlle Aubry parla della pandemia di Covid in un edificio abitato da otto personaggi. C'è una bambina, un operaio edile, un avvocato, uno studente, un vecchio, un teorico della cospirazione… Divisa in tre parti, primavera e autunno 2020, estate 2021, la storia esamina le loro esistenze sconvolte, secondo reclusioni e deconfinamenti. Non hanno nulla in comune tranne l'essere separati.
Ben presto rinchiusi, questi esseri scoprono il discorso di Macron in televisione, il 16 marzo 2020. Non abbiamo dimenticato il suo solenne “Siamo in guerra”. La bambina del piano di sotto, in grembo a sua madre, ascoltava mentre si succhiava il pollice. Il complottista, al primo piano a sinistra, ha stirato i suoi “sequenze preferite”. Il vecchio del primo piano a destra chiamò subito la sua amante alla casa di cura.
Un cenno a Perec
La studentessa, nella stanza della sua cameriera, ha appena portato tra le pareti il virus (il “SARS-CoV-2”, come lo chiamavano). Nauseata, ricorda, dal profondo del suo letto, le persone che ha incontrato durante la giornata e si sente in colpa. Nella seconda a destra la costumista è quasi sollevata dagli annunci.
Se ne parla sempre più da settimane, con l’arrivo di nuovi termini, “cluster”, “coronavirus”, un lessico mutante basato su parole “addomesticate”: “febbre, tosse, influenza”. Seguiamo la progressione della malattia e il nuovo utilizzo del familiarissimo “gel idroalcolico”. Nessuno ha la maschera e “ognuno improvvisa la propria strategia casuale”.
Ai lati dell'edificio, un vuoto improvviso; i proprietari di 3e il pavimento si precipitò nel Perche. Gwenaëlle Aubry crea numerosi legami tra vicini. Il concierge ripulisce i fuggitivi del Perche. Il suo ex, operaio edile, alloggia temporaneamente in una delle stanze della cameriera, per vedere meglio la figlia, la piccola del piano terra, che dovrà seguire “Maclasseàlamaison” senza computer.
Gli inquilini dell'11 bis di rue Winckler (un cenno a Perec e ai suoi Istruzioni di vita) interagiscono principalmente a distanza. Gwenaëlle Aubry unisce le loro storie, se non addirittura mettendole in contatto diretto. Portare la vita all'interno dell'edificio è quindi il principale vincolo iniziale del testo, mentre la vita all'esterno viene messa tra parentesi.
È una storia (distopia in miniatura?) ridotta nello spazio, confinata insomma. Una sessione chiusa senza dialogo diretto o strette di mano. Non è questa una vera sfida oulipica: raccontare la vita di un edificio senza interazione tra le persone viventi che lo popolano?
Di fronte all’esperienza collettiva universale del Covid, scopriamo il modo in cui tutti saranno modificati dalla costrizione: non uscire più o quasi, vivere con la paura di incontrare l’altro soffrendo per la mancanza di quest’altro, “diminuito” , “igienizzato”, “senza profondità”, visibile solo sullo schermo… Continuare a lavorare, “a distanza”, sopportare il lutto senza accompagnarlo “nella vita reale”. Tutti riusciranno a dire “io”, una volta che avranno ritrovato gli altri e il mondo esterno.
Zona base vie, di Gwenaëlle Aubry, Gallimard, 268 pagine, 21 euro
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