La festa di caccia // Stagione 1. Episodio 1. Richard Harris.
Le serie procedurali occupano da decenni un posto speciale nel panorama televisivo. Spesso fungono da rifugi per lo spettatore, storie strutturate in cui gli eroi vengono a ristabilire l’ordine nel caos temporaneo. Tuttavia, non tutti riescono a trascendere le proprie premesse per offrire un’esperienza coinvolgente. Il primo episodio di La festa della caccia illustra bene questo problema, con un esordio che, lungi dall’essere ardito, si rivela convenzionale e talvolta goffo. La festa della caccia si basa su un’idea che, sulla carta, potrebbe funzionare: una prigione ultrasegreta, “la Fossa”, dove vengono rinchiusi i criminali più pericolosi, funge da catalizzatore per una serie di fughe.
Una piccola squadra di investigatori si riunisce per rintracciare e catturare gli assassini più pericolosi esistenti, tutti appena fuggiti da una prigione top secret che non dovrebbe esistere.
Bex Henderson (interpretata da Melissa Roxburgh), una veterana profiler dell’FBI, viene reclutata per rintracciare questi assassini in fuga. Il concetto ricorda produzioni simili La lista nera O Evasioneche riuscivano ad affascinare grazie ad una combinazione di elementi misteriosi e personaggi memorabili. Purtroppo, La festa della caccia non sembra aver imparato la lezione dei suoi predecessori. Fin dai primi minuti la scena è ambientata: un’inspiegabile esplosione innesca una serie di fughe all’interno di una struttura carceraria sotterranea. Se questa introduzione cerca di generare tensione, manca però di sottigliezza e si basa su cliché triti.
Una prigione misteriosa, un panopticon vagamente evocato senza una vera ricerca, e criminali che si direbbero usciti da una galleria stereotipata: questa la base su cui poggia questo episodio. Il potenziale di una serie come La festa della caccia risiede in gran parte nei suoi personaggi. Qui però i protagonisti sembrano intrappolati in una scrittura meccanica e banale. Bex Henderson, che dovrebbe essere la pietra angolare della trama, è descritta come un’investigatrice di talento, ma le sue azioni tradiscono un’evidente mancanza di coerenza. Uno dei momenti più frustranti di questo episodio arriva quando entra da sola in una clinica veterinaria, senza alcun supporto o piano apparente.
Una decisione inspiegabile per un personaggio che dovrebbe incarnare rigore e strategia. Altro esempio: gli indizi lasciati dall’assassino. Durante l’esplorazione della casa di una vittima, la squadra nota le decorazioni onnipresenti, ma caratteristiche delle ossessioni del criminale. Questo tipo di passo falso narrativo mina la credibilità della storia e suggerisce che gli sceneggiatori preferiscano la comodità dello scenario alla logica interna. Serie procedurali che riescono a lasciare il segno, come ad es Menti criminali O La lista nerasaper destreggiarsi tra la prevedibile formula del “caso della settimana” e archi narrativi più ambiziosi. Si affidano ad antagonisti carismatici, misteri ben congegnati e dinamiche di gruppo accattivanti.
In confronto, La festa della caccia fatica a giustificare la propria esistenza. L’idea di una prigione segreta e di criminali sfuggenti avrebbe potuto dare origine ad una trama ricca e innovativa. Invece, la serie si accontenta di una trattazione superficiale senza profondità. Questa prima impressione è accentuata dalla produzione stessa, che sembra essere stata modellata su standard datati. Le ambientazioni sono generiche, i dialoghi troppo esplicativi e il tutto è gravemente privo di stile. Abbiamo l’impressione che la serie cerchi disperatamente di riprodurre i codici che hanno decretato il successo di altre serie, senza mai tentare di liberarsene.
Anche in questo primo episodio manca un elemento essenziale: il gancio. Una serie che aspira a fidelizzare il proprio pubblico deve saper catturare l’attenzione fin dai primi minuti. Qui nulla sembra pensato per lasciare un segno duraturo nella mente dello spettatore. Le sottotrame sono inesistenti, i personaggi secondari sono appena abbozzati e le questioni sono risolte in modo talmente prevedibile che diventa difficile coinvolgersene emotivamente. Un altro problema è il ritmo. Invece di costruire una tensione progressiva, l’episodio collega le sequenze in maniera meccanica, senza mai creare un vero crescendo drammatico. I momenti che dovrebbero essere cruciali falliscono a causa della mancanza di preparazione o di sottigliezza.
E La festa della caccia illustra una cosa, è il rischio di annoiarsi di un genere che, mal sfruttato, diventa ridondante. Serie incentrate su sfuggenti criminali e squadre di insoliti investigatori dominano da anni i palinsesti. Tuttavia, per rimanere rilevanti, devono sapere come reinventarsi. Qui non viene tentata alcuna assunzione di rischi. Tutto sembra formattato per compiacere lo spettatore che guarda distrattamente, smartphone alla mano. Ciò non è necessariamente sbagliato, ma condanna la serie alla mediocrità funzionale, incapace di sorprendere o di innovare. In definitiva, questo primo episodio di La festa della caccia lascia un’impressione mista, per non dire deludente.
Se l’idea iniziale era intrigante, la sua realizzazione manca gravemente di profondità, originalità e convinzione. I personaggi non riescono a superare i propri archetipi, la trama si svolge senza sorprese e la produzione fatica a instillare una parvenza di identità visiva o narrativa. Per ora sembra improbabile che questa serie riesca a distinguersi in un genere già saturo. Naturalmente, è sempre possibile che gli episodi successivi apportino miglioramenti e sviluppino ulteriormente gli archi narrativi e i personaggi. Ma così com’è, La festa della caccia è probabile che si unisca alla lunga lista di serie procedurali dimenticate quasi immediatamente dopo la loro trasmissione.
Nota: 4/10. In breve, una voce deludente per un concetto logoro. Per coloro che cercano una trama avvincente e personaggi ben scritti, probabilmente è meglio rivolgersi ai classici collaudati del genere.
Prossimamente in Francia