Dall’autunno dell’8 dicembre, secondo un istituto britannico, “una notevole quantità di risorse militari russe è stata convogliata verso la Libia dalla Bielorussia e dalla Russia”.
Vladimir Putin a Mosca, Russia, 6 gennaio 2025. (POOL/VYACHESLAV PROKOFYEV)
Se la nuova potenza siriana ha voluto rassicurare sui suoi futuri rapporti con la Russia, la caduta di Bashar al-Assad è un duro colpo per i progetti africani di Mosca. Vladimir Putin è ora costretto a cercare un punto di appoggio alternativo su un’altra sponda del Mediterraneo. Nel mirino, la Libia.
Mosca ha un porto militare e una base aerea sulla costa siriana, che facilitano le sue operazioni nel Mediterraneo, Medio Oriente e nell’Africa centrale e sub-sahariana – Sahel, Sudan, Africa centrale in particolare. Ma la cacciata del dittatore siriano mette a repentaglio questo modello. Il presidente della transizione siriana Ahmad al-Chareh ha voluto essere rassicurante,
definendo la Russia un “paese importante” dal quale non vuole uscire.
L’incerta riorganizzazione politica del Paese, costringe però Mosca ad avviare un ritiro strategico verso la Libia, dove mercenari russi hanno sostenuto il maresciallo Khalifa Haftar, padrone dell’est del Paese, contro il Governo di Unità Nazionale (GNU) di Tripoli, riconosciuto da dell’ONU e sostenuto dalla Turchia.
“L’obiettivo è in particolare preservare le missioni russe già in corso in Africa”
spiega al
Afp
Jalel Harchaoui, dell’istituto britannico RUSI. “Si tratta di un riflesso di autoconservazione” di Mosca, desiderosa “di mitigare il deterioramento della sua posizione in Siria”. Nel maggio 2024 il consorzio investigativo svizzero All Eyes On Wagner ha identificato la presenza di attività russe in una decina di siti libici, compreso il porto di Tobruk dove nei mesi di febbraio e aprile erano state consegnate attrezzature militari.
Le forze russe rappresentavano circa 800 uomini nel febbraio 2024, 1.800 a maggio.
E il 18 dicembre
Giornale di Wall Street
hanno citato funzionari libici e americani per rivelare il trasferimento dalla Siria alla Libia di radar e sistemi di difesa russi, comprese le batterie antiaeree S-300 e S-400. Dalla caduta di Assad, l’8 dicembre, “un notevole volume di risorse militari russe è stato trasportato in Libia dalla Bielorussia e dalla Russia”, conferma Jalel Harchaoui, citando anche i combattenti.
Distruzione degli interessi occidentali
Da parte sua, l’intelligence ucraina ha affermato il 3 gennaio che Mosca prevedeva “l’uso delle navi mercantili Sparta e Sparta II per trasportare attrezzature militari e armi” da un paese all’altro.
Questo cambiamento non deriva da un semplice cambio forzato di alleato regionale, ma da una ricerca di “continuità”, assicura l’esperto Emadeddin Badi sul sito del Consiglio Atlantico. Esso “sottolinea l’importanza della Libia come (…) elemento di una strategia a lungo termine”. Per lui, “Assad ha offerto a Mosca un’ancora sul fianco orientale della NATO e un palcoscenico su cui testare le sue capacità.
Haftar rappresenta un’opportunità simile per sconvolgere gli interessi occidentali
(e) sfruttare le divisioni politiche libiche”.
Il governo di Tripoli e quello dell’Italia, ex potenza coloniale, sono stati infatti mossi dai movimenti russi, osservati con preoccupazione dall’Unione Europea e dalla NATO. Guido Crosetto, ministro della Difesa italiano, ha affermato che Mosca sta trasferendo “risorse dalla sua base siriana a Tartous”, in Siria, “alla Libia”. E diverse fonti riferiscono degli sforzi americani per convincere Haftar a rifiutare ai russi l’installazione duratura nel porto di Tobruk che agognavano dal 2023.
Infatti,
il Cremlino farà fatica a riconquistare il conforto di cui godeva sotto Assad.
“La Siria era pratica. Era una scatola nera senza diplomatici o giornalisti stranieri. (I russi) generalmente facevano quello che volevano”, osserva il
Afp
Ulf Laessing, responsabile del programma Sahel della Fondazione Konrad Adenauer, con sede a Bamako. “In Libia sarà molto più complicato. I segreti sono difficili da preservare e la presenza russa sarà molto più visibile”.
Trattare con Turchia ed Egitto
Mosca dovrà fare i conti anche con altre potenze
tra cui la Turchia, alleata del GNU, ma anche l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, sponsor di Haftar. E sarà ansiosa di non mettere a repentaglio il suo futuro se le cose le andassero male. “Non dobbiamo ripetere gli errori siriani e scommettere senza alternative su un dittatore locale”, avverte a questo proposito Vlad Shlepchenko, corrispondente militare del media filo-Cremlino Tsargrad.
In una Libia lacerata dalla morte di Muammar Gheddafi nel 2011, e oggi divisa in due, “tutti giocano da entrambe le parti”, riassume Ulf Laessing.
Da un anno Ankara si è addirittura avvicinata ad Haftar, sulla base di progetti economici e incontri di carattere diplomatico.
Il maresciallo, abituato ai voltafaccia, non può inimicarsi gli occidentali che lo hanno discretamente sostenuto, convinti della sua capacità di limitare la diffusione dell’islamismo. “Ci sono quindi senza dubbio dei limiti a ciò che i russi possono fare in Libia”, conclude l’analista.