lsi dibatte sulla riduzione dei deficit pubblici in Francia, che dovrebbero ammontare, nel 2024, a più del 5% del prodotto interno lordo (PIL) annuo, ovvero a circa 150 miliardi di euro, riguardano sistematicamente aumenti delle tasse e/o riduzioni delle spese pubbliche spesa.
Senza astenersi dallo studiare una tassazione più aggressiva sui redditi considerati speculativi – ad esempio i superprofitti non al servizio degli investimenti -, o una riduzione della spesa sociale considerata improduttiva – ad esempio i rimborsi per farmaci dalla dubbia efficacia terapeutica – è chiaro che le decisioni in questo ambito portare ad un vicolo cieco.
Da un lato, infatti, la Francia è già uno dei Paesi sviluppati con le tasse obbligatorie più alte al mondo (48% del Pil). Ciò ha impedito il deficit pubblico? Ovviamente no.
D’altro canto, le riduzioni della spesa sociale avrebbero un effetto immediato sui consumi, e quindi sulla mutilazione della nostra già debolissima crescita, per non parlare delle reazioni populiste che secernerebbero e che si rivelano un vero e proprio veleno democratico. Una via d’uscita preferibile dall’impasse sarebbe chiedere ai leader politici di guardare più attentamente a come viene prodotto il PIL, da cui i bilanci pubblici ricavano la maggior parte delle loro risorse, attraverso le tasse.
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Per definizione, il PIL di un Paese è la somma del valore aggiunto creato dalle sue aziende private e dalle sue organizzazioni pubbliche. Tuttavia, le ricerche sulla creazione di valore aggiunto nelle organizzazioni, come la ricerca multidisciplinare del collettivo Cosa sappiamo del lavoro?, dimostrano che le aziende e le organizzazioni in Francia soffrono di massicce perdite di valore aggiunto. Ciò è dovuto ad una gestione del potenziale umano e ad un’organizzazione del lavoro che rimane troppo tayloriana (divisione del lavoro, standardizzazione, ecc.), nel settore privato, e troppo weberiana (gerarchia, regole, procedure, ecc.), nel settore privato. settore pubblico.
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