“Sono stato arrestato in un negozio Apple a Torino, pensavano che rubassi perché sono nero”. Una dura accusa e tanta amarezza è uscita dalla bocca di Daisy Osakue, la lanciatrice del disco della Nazionale italiana, che ha pubblicato un lungo sfogo su Instagram per raccontare un episodio di razzismo che ha subito in prima persona. “C’erano tantissime persone e mi hanno arrestato, bloccandomi all’improvviso come se stessi rubando l’intero negozio. Mi annoia, mi annoia moltissimo”. Daisy Osakue, la disco player della Nazionale italiana, campionessa olimpica, che vive nel torinese, a Moncalieri, ha spesso denunciato di essere stata vittima di discriminazioni: qualche anno fa, fu colpita da un lancio di uova da un macchina in movimento e ha subito danni alla cornea. L’episodio è emerso attraverso il sito online del quotidiano La Stampa, che riporta un post su Instagram, dove afferma: “Sono stata arrestata a Torino in un negozio Apple. Pensavano che rubassi perché ero nero”. “Il tempo era bello, c’era il sole, e avevo bisogno di un nuovo adattatore perché avevo comprato un nuovo telefono – racconta Osakue -. All’improvviso mi si avvicina un ragazzo – dice -, indossa un gilet arancione, è una guardia giurata. E lui mi ha detto: ‘Devi pagare prima di partire’. Osakue poi chiede: “In che senso? Scendo, dopo aver visto cosa mi occorre, pagherò di sotto. “Sto facendo il mio lavoro, sto semplicemente facendo il mio lavoro” è la risposta che l’atleta riferisce di aver ricevuto dall’uomo. “Siamo seri, guardiamoci in faccia – ha poi detto l’atleta – perché avete bloccato me e non altre persone? » e apre il portafoglio e mostra la tessera delle Fiamme Gialle: «Hai bloccato l’unico soldato di colore e mi hai arrestato perché pensavi che rubassi». È una brutta domenica. Daisy sceglie di tornare a casa a piedi. “Se salgo su un autobus e qualcuno mi tocca, perdo la testa – conclude – Ma è tutta colpa mia, pensavo di uscire di casa, prima di Natale, per andare a fare la spesa”. “Capisco che faceva il suo lavoro, la gente ruba e tutto quello che vuole – conclude l’atleta -. Ma il “profiling razziale” resta “profiling razziale” e quando ci sono più persone si dimostra che ci si basa su pregiudizi e non su fatti. I ragazzi della Apple sono stati gentili e si sono scusati”.
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