Dal 4 dicembre 1642, giorno della morte di Richelieu, al 4 dicembre 2024, giorno della mozione di censura

Dal 4 dicembre 1642, giorno della morte di Richelieu, al 4 dicembre 2024, giorno della mozione di censura
Dal 4 dicembre 1642, giorno della morte di Richelieu, al 4 dicembre 2024, giorno della mozione di censura
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TRIBUNA – Attraverso il voto sulla mozione di censura, la vita politica francese dà l'immagine di un paese fratturato, inconciliabile e incapace di proiettarsi in un futuro comune, sottolinea Gaël Nofri. Lo storico traccia un parallelo con il giorno della morte di colui che seppe, meglio di chiunque altro, incarnare il servizio dello Stato.

Gaël Nofri è uno storico, vicesindaco (Orizzonti) di Nizza e consigliere metropolitano di Nizza Costa Azzurra.


La storia ama gli ammiccamenti. Era il 4 dicembre… 1642. Moriva Jean Armand du Plessis, cardinale Richelieu, primo ministro del re di Francia. Con lui è scomparso l'uomo che incarnerà per sempre il servizio dello Stato.

È stato il 4 dicembre 2024 che questo stesso servizio statale si è a sua volta estinto in seno all’Assemblea nazionale. Attraverso il voto sulla mozione di censura, attraverso lo scenario orchestrato ormai da quasi un anno, la vita politica francese restituisce l'immagine di un paese fratturato, inconciliabile e incapace di proiettarsi in un futuro comune. L’idea di un servizio allo Stato, di una devozione al Bene Pubblico è totalmente assente: dove gli Insoumi restano monopolizzati dalla loro strategia di bordello con l’unico scopo di spingere il loro massimo leader all’Eliseo; dove i socialisti e gli ecologisti, ostaggi volontari del Nuovo Fronte Popolare, pensano solo a preservare le proprie possibilità di sopravvivenza alle prossime elezioni legislative anticipate annunciate per settembre; dove il Raggruppamento Nazionale e i suoi sostenitori giocano il proprio punteggio elettorale nella speranza di scavalcare la loro agenda giudiziaria; dove il campo presidenziale accetta le conseguenze del suo mancato scioglimento solo a condizione che ciò non abbia alcun impatto sulle politiche seguite; dove i repubblicani vorrebbero tenere da soli il timone del paese, nonostante il loro peso nella rappresentanza nazionale… non è quella la sede del servizio statale!

Di fronte a ciò, centrale sarebbe dovuto essere il ruolo del Presidente della Repubblica. Era giunto il momento, finalmente, di salire all'altezza delle istituzioni: nulla ci obbligava a ricorrere allo scioglimento all'indomani delle elezioni europee, nulla lo impediva, ma dovevamo comunque accettare di trarne appieno le conseguenze . La richiesta di chiarimenti non ha permesso altro che di vedere meglio un Paese diviso e gruppi politici ostaggio dei loro riflessi egoistici. L’appello all’espressione democratica ha avuto come unico risultato la negazione della democrazia e un blocco istituzionale senza precedenti.

Rifiutando di nominare Lucie Castets e di lasciarsi sanzionare dall'Assemblea nazionale, come sarebbe avvenuto immediatamente e inevitabilmente, il Capo dello Stato ha voluto restare unico padrone della scelta dell'affittuario di Matignon, senza rendersi conto che egli avrebbe così hanno impedito a tutti di trarre tutte le conseguenze dell’impasse dalla propria strategia elettorale e dal proprio campanilismo. Il Nuovo Fronte Popolare, non essendo stato battuto in Assemblea, ha continuato a credere di aver vinto il voto ancorando tutta la sinistra all'opposizione sistematica a qualsiasi proposta proveniente da un governo che considerava illegittimo. Gli elementi del blocco di governo, chiamati dalle circostanze a essere il minimo comune denominatore pur essendo stati respinti dalle elezioni europee e poi legislative, si sono ritrovati a governare il Paese e ad assumere il peso delle responsabilità come se fossero il partito di maggioranza. Il blocco del Raduno Nazionale e i suoi sostenitori, convinti che il vincitore della 1È A loro volta, avrebbero dovuto essere i secondi, hanno visto nel ruolo di arbitro della vita parlamentare offertogli dalla tripartizione della vita politica, l'opportunità di pesare in modo decisivo nel dibattito come se fosse una riparazione per un'elezione che avrebbe gli sono stati rubati.

La funzione presidenziale è stata da tempo abbassata, le istituzioni sono state progressivamente snaturate, cosa ancora più grave, sono riemersi lo spirito dei partiti e le sterili liti…

Gaël Nofri

Nel 1877, dopo che il presidente della Repubblica, maresciallo de Mac Mahon, sciolse l’Assemblea nazionale, Léon Gambetta, prevedendo la vittoria dell’opposizione, dichiarò: “ Dovrai sottometterti o dimetterti “. Da questa frase, tramandata ai posteri, è nata la prassi istituzionale della Terza Repubblica e, in una certa misura, della Quarta. È contro questa idea, quella di un esecutivo debole, portatore di instabilità, disordine e spirito di parte, che nasce la Quinta Repubblica voluta dal generale de Gaulle. Si trattava di dare al Capo dello Stato il peso della legittimità, la forza della stabilità e l'altezza di vista necessaria.

È chiaro che oggi non è più così. La funzione presidenziale è stata da tempo abbassata, le istituzioni sono state progressivamente snaturate, cosa ancora più grave, sono riemersi lo spirito dei partiti e le sterili liti… Lo stesso De Gaulle, presentando i suoi principali orientamenti durante il discorso costituzionale di Bayeux, ha fatto riferimento agli Antichità: “ Gli antichi greci chiedevano al saggio Solone: ​​“qual è la migliore costituzione?” “. Lui rispose: “ Dimmi prima per quali persone e a che ora ».

Per il nostro popolo e nel nostro tempo la questione è senza dubbio oggi sapere quali regole del gioco ci spingerebbero ancora a voler giocare insieme. Ma le istituzioni, anche riformate, non bastano da sole a garantire lo spirito civico… perché in verità, la vita politica francese fratturata, inconciliabile e individualista non è forse solo l’immagine ingigantita della preoccupante evoluzione di tutta la nostra società.

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