La delega è davvero democratica?

La delega è davvero democratica?
La delega è davvero democratica?
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Più di due milioni di persone hanno presentato delega per le prossime elezioni legislative. Il fenomeno, che tende a crescere, solleva interrogativi nella misura in cui scavalca in parte la dimensione segreta e individuale del voto. Ma non permette anche di dar vita ad un interessante legame democratico, basato sulla fiducia o sulla condivisione di valori?


Vacanze estive, effetto sorpresa di queste elezioni: con queste elezioni, più che per altre, il voto per delega si è rivelato l’unica soluzione per più di un milione di persone. Il principio è semplice: la persona che non può recarsi al suo seggio elettorale (il delegato) dà a un altro individuo (il preside) il potere di votare al suo posto. Per evitare il rischio di frode, la procedura è incorniciato. Ogni cittadino può portare con sé una sola delega per voto (in questo caso, una per ogni tornata elettorale). Il processo può essere effettuato online se l’agente dispone di un’identità digitale o recandosi in una stazione di polizia. Sebbene questo processo sia sempre più popolare – in particolare durante le elezioni ad alto rischio che si svolgono durante le festività come quella che stiamo per vivere – il fenomeno rimane molto poco studiato. Tuttavia è ricco di insegnamenti e potrebbe rappresentare di per sé un laboratorio per studiare i cambiamenti della nostra democrazia.

Tra civica e attivismo

Uno degli aspetti più interessanti del voto per delega è che si tratta di una transazione tra due cittadini basata esclusivamente sulla fiducia. Infatti, l’agente che affida il suo voto non potrà mai verificare che questo sia stato rispettato. La delega introduce quindi una particolare relazione umana, suscettibile di creare dilemmi etici, tipicamente sulla falsariga di “dovrei prendere la voce di qualcuno che vota per un candidato contrario ai miei valori?” » La domanda di fondo è: il voto per procura è un gesto attivista? In questo caso accetto solo deleghe coerenti con il mio voto. Oppure è un atto puramente civico? Il mio obiettivo qui è consentire a qualcuno di far sentire la propria voce, anche se non sono d’accordo con lui.

Nel periodo attuale vengono prese in considerazione entrambe le direzioni. Da un lato ci sono ONG che si dichiarano neutrali, come A Voted, che cercano di connettere cittadini di tutti gli schieramenti per consentire a quante più persone possibile di esercitare il proprio potere e il proprio dovere civico. E dall’altro i tre partiti presenti – Nuovo Fronte Popolare, Insieme per la Repubblica e Raggruppamento Nazionale – che incoraggiano sui rispettivi siti a fare deleghe a loro favore. La delega si trova quindi al centro di due questioni fondamentali, apparentemente contraddittorie: mantenere viva la democrazia in generale e aiutare un partito in particolare a vincere.

Stimolare la democrazia

Ma i due aspetti sono davvero contraddittori? Dare vita ad una festa, suscitare emulazione per un progetto sociale, non permette anche questo a tutti di esprimere la propria voce? E viceversa, informare qualcuno sulle modalità e le modalità per rilasciare una procura, tenerlo informato sui suoi diritti civili, non gli permette forse di formarsi un’opinione politica? In ogni caso, la democrazia vince da questo scambio, nella misura in cui gli elettori sono informati dei loro diritti.

Sia che si preferisca l’uno o l’altro percorso – quello dell’attivismo o del senso civico – il processo per delega introduce un dialogo. Il preside può, ad esempio, iniziare a discutere di politica con il suo vicino, con la sua famiglia, o con lo sconosciuto che ha accettato di portare la sua procura su un sito dedicato. Una volta registrata la transazione tra mandante e mandatario, quando si è deciso che uno dei due rappresenterà la voce dell’altro, si crea un nuovo legame, che è di ordine della fiducia democratica. Scegliamo di affidarci a un altro, di dipendere da lui per far sentire la nostra voce. Questi rapporti di fiducia tra individui si compongono secondo il filosofo tedesco Giorgio Simmel (1858-1918) il cemento della nostra democrazia. “C’è una società dove c’è azione reciproca di più individui”scrive dentro Sociologia. Studi sulle forme di socializzazione. Ces “relazioni minime tra gli esseri umani” così come ” tutte […] le conversazioni e i silenzi, le manifestazioni di interessi comuni o opposti che si verificano costantemente” fare secondo lui “la solidità del tessuto sociale”.

La delega ripropone quindi a livello cittadino ciò che avviene nella società: ogni cittadino dipende dagli altri per esistere e far sentire la propria voce. Questo sistema di voto, poiché si basa su una forma di altruismo civico, è anche un modo di lottare, ad esempio, contro il validismo, che consiste nel vedere e organizzare la vita collettiva e civica solo dal punto di vista di una persona valida. In questo caso, il trasferimento dei poteri permette agli anziani e ai malati di esprimere la propria voce, anche se non possono viaggiare.

Una desacralizzazione del voto

Ma in un contesto dove ogni voto conta, dove la democrazia è tesa, dove le persone sono soggette a una scelta decisiva capace di cambiare la forma di governo, la procedura può essere preoccupante. Il voto non dovrebbe essere segreto e strettamente individuale? Più in generale, la materialità del voto e la sua dimensione rituale – lo spostamento, il passaggio dietro le quinte, il fatto di scegliere un nome, infilare la propria scheda nella busta e sentire il famoso “votato” – non contano per non dare pieno significato a questo gesto democratico?

La delega ha l’effetto di cortocircuitare il momento della scelta dietro le urne. Tuttavia, la solitudine della cabina elettorale è benefica perché protegge il cittadino da possibili violenze e pressioni degli oppositori. Può anche limitare ciò che chiamiamo “il voto della famiglia”, che consiste, per un membro della famiglia che è una figura autoritaria, nel fare pressione sugli altri membri. Al di là delle minacce, la segretezza evita anche motivazioni di voto basate sul puro desiderio di piacere o di essere apprezzati. « Poiché nelle nostre società il voto è anonimo, il desiderio di approvazione da parte degli altri non funziona [comme motivation] », osserva a questo proposito il filosofo norvegese Jon Elster.

Votare dietro una cortina è quindi una tutela ma anche una garanzia di una forma di serietà. Nella repubblica questo rito è coronato da una forma di sacralità i cui echi si ritrovano nell’ambientee contratto sociale Di Rousseau. Il filosofo ritiene che nel momento in cui esercito questo potere faccio parlare le persone “la volontà generale” in me, vale a dire, “il bene comune”. Votare (per una legge, perché il filosofo era contrario alla democrazia rappresentativa) è quindi un atto prezioso e importante che non va delegato. Sottoporre il proprio voto agli altri equivale in questo caso a rinunciare alla propria sovranità. Se tutti fanno lo stesso, l’intera democrazia crolla.

Una votazione “fuori terra”.

La delega può avere anche l’effetto di “deterritorializzare” il voto. Quando una persona vota per le elezioni legislative, dà il suo voto a un deputato che avrà il compito di difendere la regione che conosce, perché vive lì. Quando non viviamo più in un luogo, siamo in grado di scegliere in modo consapevole i rappresentanti di questa regione? Concretamente, il viaggio che porta alla cabina elettorale, che ci porta attraverso le scuole, gli ospedali e tutti i luoghi pubblici, può essere di per sé una guida al voto. Quando faccio una procura, mi manca letteralmente questo/i percorso/i.

La procura rischia quindi di rendere totalmente astratto l’esercizio del potere civico. Quando credo che un’altra persona possa esercitare il mio potere al posto mio, decorporalizzo il mio potere. Mi teletrasporto attraverso di lui nella cabina elettorale, ignorando le leggi della materia. Questo è spiegato molto bene Il bordello nel suo Sociologia generaleche critica la nostra tendenza a “dimenticare che gli agenti sociali hanno un corpo”. C’è, dice, “tante cose che gli agenti sociali vorrebbero fare ma che, avendo un corpo, non possono fare. Ad esempio, non si può essere ovunque contemporaneamente, al forno e al mulino, all’Assemblea nazionale e nella propria circoscrizione elettorale. […] Ci sono cose che non si possono delegare. » Per esercitare qualsiasi potere – che tu sia cittadino o deputato – devi essere ancorato, a contatto con la popolazione, stabilito in un territorio. È difficile far sentire una voce che non emana da noi ma che abbiamo trasferito in un corpo diverso dal nostro – che esegue il nostro ordine senza incarnarlo in prima persona.

In definitiva, il problema non è tanto la procura quanto il modo in cui avviene questo trasferimento. Si può fare attraverso il confronto, il dialogo, la connessione con gli altri e con il territorio. Pertanto, il trasferimento del potere non è un abbandono della sovranità popolare ma al contrario uno stimolo alla democrazia, che consente ai cittadini di informarsi e discutere tra loro. Ma la delega, come il voto in generale, può anche essere istituita in modo totalmente astratto, disincarnato, come una procedura priva di senso. Il trasferimento del potere funziona allora come una dispensa, ci dice Bourdieu. Impedisce ai cittadini “prendersi cura in prima persona”. La questione della procura lo consente bene pensare in modo più ampio al senso del voto: se questo gesto sembra privo di senso e non riguarda più la preoccupazione per gli altri e per il bene comune, forse è perché la democrazia, il potere del popolo, non può non ridursi al semplice momento del voto ?

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