Quale cultura per quale futuro? Di fronte alla crisi della vita, l’avvertimento non basta più per allertarci – Libération

Quale cultura per quale futuro? Di fronte alla crisi della vita, l’avvertimento non basta più per allertarci – Libération
Quale cultura per quale futuro? Di fronte alla crisi della vita, l’avvertimento non basta più per allertarci – Libération
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La nostra casa sta bruciando e, a dire il vero, tutte le telecamere sono puntate sull'incendio ma non cambia molto. Dagli orsi polari sconvolti sui loro banchi di ghiaccio ai megaincendi che vomitano pennacchi neri, comprese inondazioni che causano incidenti d'auto, immagini di disastri popolano i notiziari televisivi tanto quanto le biennali d'arte contemporanea. Tanto che potremmo finire per chiederci se sapere cosa ci aspetta sarà sufficiente per evitarlo. È questa, in sostanza, la domanda che si pongono il Centro Pompidou e l'Ufficio francese per la Biodiversità (OFB) in occasione del Forum sulla Biodiversità: quale cultura per quale futuro?, dal 20 al 24 novembre a Parigi, e di quale Liberazione è un socio.

La leva che può sembrare la più ovvia per avviare il cambiamento è quella che permette di individuare con chiarezza chi ha tutto l’interesse a proseguire l’impresa. “come di solito”, come al solito. Il giornalista Nicolas Legendre ha percorso per diversi anni le strade della Bretagna per individuare i diversi anelli del sistema agroalimentare che ha metodicamente esposto in Silenzio nei campi (Artaud, 2023). Con questo libro – insignito del premio Albert-Londres, il più prestigioso del giornalismo francese – Legendre (che sarà presente al forum) racconta l’onnipresenza del settore agroindustriale negli organi decisionali, il vincolo economico che pone sui piccoli produttori e la pressione che esercita su chi denuncia le pratiche agricole intensive, responsabili, tra l’altro, delle maree di alghe verdi che si intensificano ogni estate sulle coste Bretone. “Da diversi anni assistiamo ad una controffensiva da parte dell’industria agroalimentare, attaccata in particolare per l’uso di OGM o di pesticidi come il glifosato.avverte Nicolas Legendre. I suoi membri sono tornati con nuove strategie, comunicando sull’agribashing, beneficiando di un Ministero dell’Agricoltura particolarmente indulgente sotto Emmanuel Macron, che ha silurato l’iniziativa “Dalla fattoria alla tavola” [“De la ferme à la table”, ndlr] a livello europeo…” L'indagine di Legendre, condotta per diversi anni sui momenti più alti dell'agricoltura bretone, sviluppa un dibattito implacabile sulle pressioni esercitate a tutti i livelli, dai campi ai ministeri, dai grandi nomi dell'agricoltura. Tuttavia, un anno dopo aver ricevuto il premio e aver fatto il giro dei media e delle librerie, “nulla è cambiatosospira il giornalista. Dal punto di vista normativo, almeno, non è cambiato nulla. L’impatto sull’opinione pubblica c’è stato sicuramente, ma è piuttosto debole.

Fatti ed emozioni

Per Nicolas Legendre, se uno scrupoloso lavoro giornalistico che identifica chiaramente gli ostacoli che impediscono una transizione agroecologica non è sufficiente, è in parte perché“non mordiamo la mano che ci nutre: dove è facile criticare Totaleperché è un’industria che immaginiamo facilmente sporca, con le sue trivellazioni petrolifere e le sue ciminiere fumanti, è un’altra cosa attaccare i contadini, che mettono il cibo nei nostri piatti e ne fanno il simbolo dell’identità francese”.

La storia è però costellata di testi che sembrano essere riusciti a cambiarne il corso: Nella colonia penaledi Albert Londres, che raccontò, nel 1923, la vita quotidiana dei detenuti nella colonia penale di Cayenne e suscitò tale scalpore che le autorità pubbliche sospesero l'invio di prigionieri in Guyana; O Primavera silenziosa, da Rachel Carson, che, nel 1962, giocò un ruolo chiave nella messa al bando del DDT negli Stati Uniti. Ma questi due testi presentano una qualità che va oltre il semplice registro giornalistico, adottando spesso un tono lirico e giocando sia sul registro dei fatti che su quello delle emozioni, osserva Nicolas Legendre: “Stiamo arrivando a un momento in cui il giornalismo deve riuscire a inventare nuove forme, che si intrecciano con la finzione, per toccare nel profondo il lettore”.

Gli effetti sono anche ciò a cui mira la regista del CNRS Momoko Seto, che presenterà il suo film al forum Il pianeta Sigma (2014) (vedi anche pagina V). Con questo cortometraggio (11 minuti) che racconta, a livello degli insetti, il riscaldamento accelerato di un pianeta, Momoko Seto ha voluto “magnificare questo mondo, cioè magnificarlo, ma soprattutto renderlo magnifico”. Per fare questo, ha trascorso ore a scolpire la luce su uno scarabeo stercorario per realizzarlo «classe»ne sono convinto “Mostrare nel cinema ciò che rifiutiamo può creare empatia”. Perché, per i franco-giapponesi, questo è il tipo di film ecologico adatto ai nostri tempi: non un documentario con violini magniloquenti e voci fuori campo melodiose in stile Netflix, ma un film di finzione i cui protagonisti sono insetti, o addirittura, per il suo prossimo lungometraggio, semi di tarassaco alla ricerca di un nuovo terreno.

Perché una volta individuati i responsabili (prima o poi cominciamo a conoscerli…), anche le produzioni culturali hanno un ruolo da svolgere nel nuovo rapporto con il mondo che possiamo opporre loro – e questo potrebbe passare attraverso nuovi attaccamenti e una nuova empatia per tutti gli esseri viventi che ci circondano. È, ad esempio, quanto propone il gesto del filosofo Baptiste Morizot, che interverrà al Pompidou per presentare il libro che ha appena firmato con l'artista Suzanne Husky, Restituire l'acqua alla terra. Alleanza nei fiumi di fronte al caos climatico (Atti Sud, 2024).

Già nel 2020, nel suo saggio Modi di essere vivi (Actes Sud), il filosofo propone di invertire l’analisi classica: non stiamo attraversando una crisi di biodiversità – il che implica che il mondo vivente sta crollando davanti al nostro sguardo allarmato –, ma, piuttosto, stiamo vivendo una “crisi di sensibilità”vale a dire che la nostra indifferenza verso il mondo vivente e la nostra incapacità di dargli la considerazione che merita ci porta a fare scelte sociali responsabili del suo declino. In Restituire l'acqua alla terraMorizot e Husky scelgono un emissario per portare questo messaggio: il castoro.

Ingegneria del castoro

Per un filosofo che iniziò a costruirsi la reputazione di inseguitore di lupi, ricorrere a un roditore poteva sembrare una retrocessione. Tutt'altro: il castoro, spiegano Morizot e Husky, è un ingegnere eccezionale che, grazie alle dighe che costruisce ovunque lungo i corsi d'acqua, modella il territorio da milioni di anni. I suoi edifici “ingegnere a bassa tecnologia”che rallentano il flusso dei fiumi e quindi il ciclo dell'acqua, potrebbero rappresentare una soluzione intelligente a questa crisi idrica, sia per idratare gli ambienti in previsione dei periodi di siccità sia per prevenire le inondazioni dopo gli episodi delle Cévennes.

Invitandoci a guardare il castoro, Morizot e Husky pongono una domanda che potrebbe essere la base di una cultura da reinventare per il futuro: come possiamo dare spazio a forze diverse da noi stesse per modellare il nostro ambiente? Ciò che questa domanda cambia è questo «il vivente non rientra più nel dominio della “natura”entra nel campo della politicaci spiegava Baptiste Morizot nel 2023. Dobbiamo quindi trovare il modo di stabilire rapporti politici con lui. Ma il problema è che a partire dal XVIII secolo, le nostre modalità di relazioni politiche si sono stabilizzate attorno a un modello “cittadinista”, in cui l’uso di un discorso ragionato e razionale ha la precedenza. Questo modello non può ospitare castori, lupi e foreste. Dobbiamo trovare qualcos'altro. E non si tratta di “democrazia coi cani” né di dare personalità giuridica ai fiumi”.

Dietro la messa in risalto delle dighe dei castori, il grande progetto è cercare di adottare altri principi di pianificazione dell’uso del territorio che lascino un posto equo ad altri esseri viventi. Suzanne Husky ha trascorso lunghe ore, con i piedi nel fango, taccuino ad acquerello in mano, nelle grandi pianure americane per osservare come i pionieri dell'idrologia rigenerativa (ri)costruivano dighe di legno negli anni ispirandosi all'ingegneria dei castori, e ha potuto osservare come trasformano un paesaggio nel giro di poche settimane, restituendo acqua a un ambiente che ne era quasi privo. Baptiste Morizot ha avuto l'ispirazione di costruire un'opera simile nella Drôme, e non è raro incontrarlo lì dopo una forte pioggia, estasiato, emozionato per il ritorno di un “fiume fantasma” o sul “forze vive” che vediamo all'opera.

Questo lavoro dell'artista e filosofo che guada i meandri di un corso d'acqua porta poi a riflessioni molto concrete: la messa in discussione dell'espansione urbana nelle aree soggette a inondazioni, il ripristino delle soglie per preservare la continuità della piscicoltura, la gestione del ciclo dell'acqua nelle senso ampio. “Investigare i nostri rapporti con il resto della vita non è assolutamente prerogativa dei ricercatori, sarebbe una confisca drammatica, Morizot ce lo spiega ancora. Dalla comparsa del Sapiens, tutte le forme di vita umana hanno indagato sugli esseri viventi. Per me, ciò che è decisivo è ciò che fanno i forestali, gli agricoltori, i risanatori dei fiumi, i naturalisti dilettanti, gli agroecologi… Oggi, la filosofia contadina nel circuito breve offre opportunità per entrare in relazione con un ambiente ecologico”.

Uno dei tasselli che potrebbero mancare per inserire a pieno titolo i castori e non solo nella nostra società è, appunto, la legge. È quanto afferma l'avvocato Marine Calmet in un libro di interviste a Marin Schaffner, Decolonizzare il diritto (Wildproject, 2024), che presenterà anche durante il forum. Dopo averlo capito “la maggior parte di loro” studi specializzati in diritto ambientale per i quali ha lavorato “difendevano infatti le compagnie petrolifere o le grandi imprese del settore delle costruzioni», l'avvocato si è imbarcato per la Guyana in compagnia di una delegazione indigena appoggiata in particolare da avvocati. Da questa esperienza ha poi co-fondato il programma Wild Legal, spinta da una domanda: quale società stiamo costruendo con la legge? Marine Calmet spiega: “Nella narrativa giuridica la domanda in realtà non è tanto “quale legge?”, quanto piuttosto “quale società?”Solo allora la legge potrà scrivere le basi giuridiche di questa società. La legge è solo uno strumento e, dietro ad essa, ci sono sempre visioni politiche”. L'avvocato però lo riconosce“bisogna stare attenti alla legge, perché può agire come un potente strumento di oppressione oppure rivelarsi una formidabile leva di emancipazione”. E per aggiungere: “Il legame dell’empatia […] è molto più forte delle norme giuridiche, che tutto sommato sono fragili”.

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