Nate nel 1945, nel caos del dopoguerra, per garantire una pace duratura sotto l’egida del diritto internazionale e dei “diritti umani”, le Nazioni Unite, prendendo atto di uno stato di fatto considerato nell’ottica del male minore, riconobbe il futuro Stato d’Israele il 29 novembre 1947. Questo, entro i limiti del 55% della Palestina sotto mandato britannico, con uno status speciale per Gerusalemme. Si tratta di poco meno di quelli che oggi chiamiamo i “confini del 1967” – fissati dagli accordi successivi alla “Guerra dei Sei Giorni” – che hanno permesso a Israele di espandersi, in particolare nella parte occidentale di Gerusalemme. È chiaro che questo non è sufficiente per la maggior parte dei leader israeliani. Il timore di una soluzione “a due Stati” – sinonimo di rinuncia all’Israele biblico – riflette sia l’assassinio di Yitzhak Rabin (1995) – presentato come nazista dal partito di Netanyahu – sia il trattamento riservato alla rivolta del 7 ottobre 2023, dallo stesso Netanyahu, come un’opportunità per ancorare la politica del fatto compiuto in Cisgiordania, attraverso una maggiore colonizzazione, sperando nel contempo di recuperare Gaza. Da qui la riluttanza a negoziare la liberazione degli ostaggi.
Enorme giubilo
Il riconoscimento di Israele da parte delle Nazioni Unite provocò un immenso giubilo tra gli ebrei emigrati in Palestina sotto il mandato britannico – scaduto il 14 maggio 1948. Perché è chiaro che, se le sfaccettature dell’ideale sionista sono molteplici, Israele come quello lo Stato non ha altra legittimità se non quella concessa dal voto ONU del 1947. Per una nazione che vuole essere democratica è escluso basare rivendicazioni territoriali su miti e leggende religiose: una cosa è la legittimità, stabilita dal diritto internazionale, di risiedere in un territorio dato, un’altra cosa, quella del sogno di “ritornare” in una terra concessa da Dio ai miei avi.
gabbianoAttaccando le truppe di pace delle Nazioni Unite in Libano nel 2024 e dopo aver approvato la legge sullo “Stato-nazione del popolo ebraico” nel 2018, il governo Netanyahu ha provocato una vera e propria “reazione autoimmune”.
Una delle figure intellettuali e morali più importanti di Israele, Yeshayahu Leibowitz (1903-1994), pregò Dio “liberarci dai territori occupati”. Questo sionista religioso, senza mai scendere a compromessi sui valori dell’ebraismo, riteneva che il sionismo avesse raggiunto i suoi obiettivi nel 1948 e che l’occupazione ora corrompesse l’occupante tanto quanto opprimesse gli occupati. Era indignato dal fatto che il giudice Moshe Landau, che aveva presieduto il processo Eichmann (1961), non avesse trovato obiezioni – divenuto presidente della Corte Suprema – alla pratica della tortura da parte di agenzie statali (1987). Si ricorderà che fu proprio mentre assisteva al processo Eichmann che Hannah Arendt prese coscienza della “banalità del male” – una nozione tragicamente banale per i professionisti della salute mentale, esemplificata dallo stesso Landau.
L’UNRWA denuncia la demolizione del suo ufficio nel campo di Nur Shams in Cisgiordania
Adottando, il 28 ottobre, una legge che vieta le attività dell’UNRWA e attaccando immediatamente con un bulldozer un edificio dell’ONU che centralizzava servizi vitali per i 14.000 rifugiati del campo di Nur Shams, nella Cisgiordania occupata, sembra che lo Stato di Israele persiste nel distruggere le basi della propria legittimità. Era già così nel 2021, quando il suo ambasciatore all’ONU – Gilad Erdan – si permise di stracciare pubblicamente, in sessione plenaria, un rapporto delle Nazioni Unite che segnalava 95 violazioni dei diritti umani perpetrate da Israele, tutte accusando l’ONU dell’antisemitismo. Da allora, il Segretario generale dell’ONU è diventato “persona non grata” in Israele. È proprio Gilad Erdan – fedele compagno di Netanyahu – che si permetterà, nel 2023 davanti alla stessa assemblea, di sfruttare e profanare la memoria delle vittime della Shoah, esponendo una Stella di David per scopi che avrebbero inorridito la maggior parte di loro. Se gli eventi del 7 ottobre sono di per sé mostruosi, per chi ne conosce la genesi, queste rappresaglie sono lo specchio esatto della violenza senza ricorso esercitata contro gli abitanti di Gaza, e della crescente disumanizzazione dei palestinesi.
Reazione autoimmune
In modo più radicale, attaccando le truppe di pace delle Nazioni Unite in Libano nel 2024, e dopo aver approvato nel 2018 la legge “Stato-nazione del popolo ebraico” che – formalizzando l’apartheid – si fa beffe della “Dichiarazione di indipendenza” di Israele e rovina il sistema democratico. fondamenti dello Stato, il governo Netanyahu ha provocato una vera e propria “reazione autoimmune”. Gli ebrei di tutto il mondo sono ora esposti a ciò, indipendentemente dal fatto che siano d’accordo con questa politica o meno.
Durante una reazione autoimmune, il corpo – sconvolto – non riconoscendo più la propria identità, comincia ad attaccare se stesso. A volte fino alla morte. Astenersi attivamente da questa autodistruzione – come la presidente von der Leyen e il presidente Macron – o incitarla in maniera massiccia – come il presidente Biden (1) – ciò costituisce oggi il vero antisemitismo: una collaborazione di fatto con l’autodistruzione dell’identità ebraica e della valori del giudaismo, nonché l’accumulo di odio contro gli ebrei. Dovrebbe far riflettere il sostegno dato agli eccessi di Israele da parte di organizzazioni dal profilo tipicamente antisemita, come il Rassemblement National in Francia o gli Evangelisti negli Stati Uniti.
⇒ (1) “Gli Stati Uniti hanno speso circa venti miliardi di dollari in sostegno militare a Israele dal 7 ottobre 2023”. (Jean Pierre Filiu, “Le Monde”, 3 novembre 2024)