regista tanto discreto quanto sorprendente

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Laurent Cantet

era un uomo gentile che ha affrontato apertamente, nei suoi nove lungometraggi, la brutalità della società contemporanea e del mondo del lavoro. C’era una rara finezza nel suo sguardo di cineasta, una tale consapevolezza della complessità delle situazioni che spesso lasciava aperte, irrisolte, le domande sollevate nelle sue storie.

È morto questo giovedì all’età di 63 anni di cancro. Figlio di insegnanti, cresciuto a Deux-Sèvres e diplomato alla scuola di cinema Idhec, ha lasciato una forte impressione dal suo primo film, “Risorse umane”, nel 2000. In esso, ha affrontato le pretese del management attraverso il rapporto di un padre e suo figlio in una fabbrica della Normandia. Ne “L’Emploi du temps”, nel 2001, ispirandosi al caso Jean-Claude Romand, sonda i misteri, tra bugie e fughe, di un uomo desideroso di nascondere il suo licenziamento.

“Ai margini della società”

Consacrazione nel 2008 con la Palma d’Oro a Cannes, la prima per un francese dal 1987 (“Sotto il sole di Satana”), per “Entre les Murs”, storia di un insegnante in zona prioritaria. Un film pionieristico sulle trasformazioni della professione docente. Seguono “L’Atelier”, con Marina Foïs, o “Arthur Rambo”, nel 2021, l’anatomia di un linciaggio sui social network.

Il bordolese Stéphane Leyvigne, che ha girato dieci giorni in “Entre les Murs”, ricorda un regista di “straordinaria umanità, gentile, delicato, sempre calmo” – un tratto caratteriale singolare tra i registi, spesso autoritari. “Sembrava il suo cinema. »

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