“Di fronte all’emozione suscitata dall’omicidio di Philippine, niente è peggio che brandire false risposte”

“Di fronte all’emozione suscitata dall’omicidio di Philippine, niente è peggio che brandire false risposte”
“Di fronte all’emozione suscitata dall’omicidio di Philippine, niente è peggio che brandire false risposte”
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IOinutile procrastinare. Con lo stupro e l’omicidio di Philippine, una studentessa di 19 anni, il cui corpo è stato ritrovato sabato 21 settembre nel Bois de Boulogne, raramente la notizia è servita agli scopi di un ministro degli Interni in cerca di giustificazioni per una nuova svolta della vite sull’immigrazione.

Se Taha O., il 22enne marocchino privo di documenti arrestato tre giorni dopo a Ginevra, in Svizzera, fosse davvero l’autore del reato, è innegabile che questo femminicidio avrebbe potuto essere evitato. A condizione che il giovane, già condannato per stupro, avrebbe potuto essere mantenuto in detenzione fino a quando il Marocco non avesse rilasciato la carta consolare (LPC) che ne autorizzava l’espulsione. Di qui la conclusione apparentemente logica volta a sostenere il prolungamento del periodo di detenzione per gli stranieri in attesa di deportazione alla frontiera, come auspicato dagli amici di Les Républicains di Bruno Retailleau.

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In effetti, se regolamentare o legiferare sotto l’influenza della – comprensibile – rabbia dell’opinione pubblica non è una buona politica, non fare nulla sembra insopportabile. Dobbiamo ancora agire in modo razionale ed efficace. Da trent’anni i governi di destra e di sinistra continuano ad allungare il tempo durante il quale uno straniero può essere detenuto in attesa dell’organizzazione del suo allontanamento: fissato a dieci giorni dalla legge Pasqua del 1993, tale durata di detenzione è aumentata a dodici giorni nel 1998 con la legge Chevènement, poi a trentadue con la legge Sarkozy del 2003, a quarantacinque giorni con la legge Besson, nel 2011, poi a novanta giorni con la legge Columbus del 2018.

Un’eventuale legge Retailleau, che allineasse questa durata a quelle, significativamente più lunghe, in vigore in diversi paesi europei tranquillizzerebbe senza dubbio parte dell’opinione pubblica. Ma nulla dice che ciò impedirebbe il ripetersi di una tragedia simile. Né che consentirebbe di migliorare il tasso irrisorio (intorno al 10%) di esecuzioni di deportazioni alla frontiera che alimenta il voto di estrema destra.

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Di fronte alle emozioni e alla rabbia, niente è peggio che offrire risposte false che alimentano la macchina del risentimento. Come l’idea che limitare i diritti sociali degli stranieri ridurrà il flusso degli arrivi.

Esistono però reali leve per il cambiamento. Si tratta di designarli chiaramente e mettersi nelle condizioni di attivarli. Lo si è detto spesso, ma invano: invece di imporre veri e propri obblighi di abbandono del territorio francese (OQTF) nei confronti di persone impossibili da espellere, perché hanno, ad esempio, potenzialmente figli francesi o sono cittadini di paesi in guerra, dovremmo concentrarsi sui delinquenti e sulla catena di decisioni giudiziarie e amministrative che portano alla loro espulsione.

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