François Bayrou avrebbe vinto la sua scommessa audace? Per la prima volta dallo sfortunato scioglimento dell’Assemblea nazionale, questa settimana è nato un barlume di speranza per ripristinare un po’ di stabilità politica e di orizzonte nel Paese. Creando un cuneo tra il PS e la LFI, il bernese è riuscito a superare il voto di censura chiesto il giorno stesso del suo discorso di politica generale dal partito di Jean-Luc Mélenchon. Scatenando una piccola zavorra sull’aspetto sociale del bilancio, sui rimborsi sanitari, sui giorni d’attesa per i dipendenti pubblici e soprattutto accettando di riprendere il lavoro, “senza tabù” ma senza promettere nulla, la riforma delle pensioni, François Bayrou ha resettato l’orologio dell’Assemblea nazionale che ora segna le 10.10: grazie ad un blocco centrale allargato che passa dal PS (-8 voti) a LR. Una maggioranza relativa, certamente molto circostanziata e che non assomiglia in alcun modo a un contratto di coalizione di tipo tedesco, ma abbastanza prevedibile nelle prossime settimane o addirittura nei prossimi mesi.
La Francia potrà quindi finalmente disporre, almeno si spera, di un vero bilancio entro la primavera. Un bilancio il cui colore sarà un po’ più roseo, con un’eccessiva tassazione delle imprese più ricche e grandi, forse una nuova tassa sulla ricchezza, una sorta di ISF impegnato dalla sinistra a far passare la pillola di 50 miliardi di euro di aggiustamento di bilancio necessari per mantenere la rotta su un deficit pubblico pari al 5,4% del Pil rispetto al 6,1%. Lo spirito di responsabilità sembra finalmente prevalere e ciò è una fortuna perché i francesi cominciano giustamente a preoccuparsi di questa instabilità politica che da quest’autunno non fa altro che peggiorare la situazione economica e di bilancio e che, in modo sintomatico, non è più così dopo la censura del governo Barnier. È una fortuna perché il premio di rischio sui titoli decennali francesi è più che raddoppiato dopo lo scioglimento, con uno spread OAT-Bund che sfiora i 90 punti base. E ciò si aggiunge alla rinnovata tensione sui mercati obbligazionari globali a causa dei timori che la politica protezionistica di Donald Trump possa causare un aumento dell’inflazione. Con il suo programma di prestiti da 300 miliardi di euro, la Francia sovraindebitata è doppiamente esposta a questa tensione che intacca i magri margini gravando sugli interessi, sul punto di diventare la principale voce di spesa dello Stato.
Sulle pensioni, François Bayrou non ha segnalato il ritiro, ma ha abilmente restituito la palla al campo delle parti sociali. Avendo Medef dichiarato che non accetterebbe alcun aumento del costo del lavoro o riduzione della produzione corrente del sistema a ripartizione, è in pratica un diritto di veto quello che i datori di lavoro rivendicano contro qualsiasi contestazione alla progressivo rinvio a 64 anni di età. dell’età di partenza. Il conclave con i sindacati potrà negoziare per tre mesi interi a porte chiuse, ma non porterà in nessun caso a riportare in Parlamento la questione dell’età. Ciò ha fatto dire alla LFI e ai Verdi che il Partito socialista è stato fumato e comprato a buon mercato… Vedremo nel corso del congresso del partito delle rose se questa posizione coraggiosa dei dirigenti socialisti sarà per una volta convalidata dai suoi attivisti. In gioco c’è lo status del partito di governo del PS, che finalmente si stacca dalla LFI. Resta da vedere cosa ne penseranno gli elettori in caso di un altro scioglimento.
Prima di discutere i termini di una revisione della riforma di Elisabeth Borne, le parti sociali e l’opinione pubblica faranno una nuova diagnosi sullo stato del finanziamento delle pensioni. A differenza del COR o anche di Bercy, che hanno sempre guardato esclusivamente ai conti pensionistici privati, già fortemente in deficit, François Bayrou vuole imporre, attraverso la missione flash richiesta alla Corte dei conti, che si tenga conto del “sussidio” Infatti” dallo Stato alle pensioni dei dipendenti pubblici, per circa quaranta miliardi l’anno, finanziate da tutti i contribuenti, siano essi dipendenti pubblici o privati. L’approccio è discutibile dal punto di vista contabile, perché stiamo mescolando stracci e tovaglioli, ma serve da indicatore del fatto che lo Stato datore di lavoro non versa ogni anno la sua quota di contributo, lasciandolo alla responsabilità della contabilità generale l’azienda. debito. Questa mancanza di trasparenza, già denunciata in numerose note da un ex eminente membro del Tesoro, Jean-Pascal Beaufret, non cambia nulla per il settore privato, ma può costringerci ad affrontare la realtà dello squilibrio demografico delle nostre pensioni che non sono più sostenibile. dato il rapido deterioramento delle nostre finanze pubbliche.
Ricordiamo che la Francia è di gran lunga il paese europeo dove si va in pensione prima, mentre tra i nostri vicini si ha già 65 o addirittura 66 o 67 anni. Ricordiamo inoltre che i dipendenti pubblici, in particolare i dirigenti della pubblica amministrazione, beneficiano di un fondo pensione collettivo a capitalizzazione, il Préfon, da sempre ideologicamente rifiutato al settore privato. Non si tratta di sostituire un regime con un altro e di sostituire la distribuzione con la capitalizzazione, ma solo di dare gli stessi diritti a tutti i dipendenti. Anche il Medef si è affrettato a correre su questa breccia, vedendo nella riapertura del dossier di finanziamento delle pensioni un’“opportunità”, parola di Patrick Martin, il suo presidente, per rimettere la questione sul tavolo. negoziazione dei fondi pensione. Vedremo se il conclave li inserirà nel menù dei suoi banchetti. Come ha detto venerdì François Bayrou, attorno alla macchina del caffè possiamo trovare la via della riconciliazione.
In attesa della fumata bianca o nera del conclave sulle pensioni che deciderà le sorti del governo Bayrou, la Francia ha comunque tre mesi per uscire dalla stasi, per parlare come i concorrenti della Route du Rhum. Vota un budget e lancia alcuni progetti. Perché mentre la Francia è ferma e vede la sua crescita anemica (il FMI prevede solo lo 0,8% per quest’anno, in un’economia globale cupa, tranne che negli Stati Uniti), il mondo accelera e si avvia al tempo di Donald Trump.
Il presidente eletto diventerà l’attuale presidente questo lunedì, 20 gennaio, e promette di andarsene rapidamente. Con una maggioranza stabile per almeno due anni prima delle elezioni di medio termine e quasi tutti i poteri istituzionali, la sua amministrazione introdurrà il mondo in una nuova era. Meglio così, se il cessate il fuoco a Gaza permetterà di ristabilire la pace nel Vicino e Medio Oriente e, perché no, in Ucraina. Ciò resta ancora molto incerto e anche Trump si rende conto che non è possibile fermare un conflitto in 24 ore. Ma anche potenzialmente in peggio se metterà in atto il brutale aumento delle tariffe doganali promesso durante la campagna. La maganomics sarà senza dubbio il principale fattore di incertezza per l’economia mondiale con gli Stati Uniti sempre più determinati a fare dell’America nuovamente la potenza dominante del “mondo libero”, anche a costo di sconti. in questione ai sensi del diritto internazionale.
Che si tratti di rivendicazioni sul Canada, sul Canale di Panama o sulla Groenlandia, dobbiamo prendere sul serio ciò che dice Donald Trump, che non esiterà a sfruttare gli equilibri di potere a suo favore per scuotere l’ordine mondiale. attuale. Potrà anche contare sulla mobilitazione delle grandi imprese americane, in particolare dei giganti tecnologici o finanziari, che sperano in una grande ondata di deregolamentazione che permetterà all’America di imporre le sue regole del gioco e le sue innovazioni al resto del mondo. il mondo. È il caso dell’intelligenza artificiale generativa che è oggetto di investimenti sproporzionati, che ricorda la corsa all’oro con una corsa di velocità tra colossi tecnologici. Segno dei tempi, star del settore come Sam Altman (Open AI) o Mark Zuckerberg (Meta-Facebook) hanno preferito evitare il World Economic Forum di Davos per essere presenti all’insediamento di Donald Trump a Washington. Il presidente americano farà comunque un’apparizione virtuale nella località delle Alpi svizzere per tenere un discorso nel primo pomeriggio di giovedì che senza dubbio sarà molto atteso e molto dirompente. Almeno sapremo questa settimana con quale salsa l’orco americano intende mangiarci. Una cosa è certa: la sopravvivenza dell’Europa nel 2025 sarà in gioco…