Possiamo imparare il digitale da e attraverso l’esperienza (di vita)?

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Come impariamo nella vita? Come impariamo a scuola? La domanda qui posta nasce da una lunga osservazione (più di quarant’anni) dell’evoluzione del posto dell’informatica e poi della tecnologia digitale nella società, nei sistemi educativi e universitari e nella formazione continua. La massificazione degli usi digitali, particolarmente forte dopo la diffusione degli smartphone, avviene solo sulla base di apprendimenti in situazioni, la maggior parte dei quali deriva in gran parte dall’esperienza personale. Bruno Devauchelle, specialista in educazione digitale, fa il punto.

Un'immagine contenente interno, personal computer, parete, schermo del computer Descrizione generata automaticamente Nella letteratura scientifica si è soliti distinguere tra formale, semiformale e informale per spiegare il modo in cui avviene l’apprendimento. Se il formale è essenzialmente associato all’apprendimento in una situazione istituzionale (scuola, università, ecc.), il semiformale e l’informale si svolgono prevalentemente all’esterno di strutture e momenti finalizzati all’insegnamento/apprendimento. Il semi-formale si basa il più delle volte sull’apprendimento tra pari (fisico o meno); il non-formale è in primo luogo guidato dall’apprendimento dall’esperienza o meglio da situazioni “ordinarie” vissute. Anche se in un certo approccio possiamo considerare l’apprendimento esperienziale come una forma pedagogica di insegnamento formale, dobbiamo distinguere quest’ultima forma in quanto principalmente associata ad approcci didattici all’insegnamento come le situazioni problematiche, l’apprendimento mediante l’indagine, il processo investigativo, ecc. anche quello che chiamiamo “lavoro pratico”.

La scuola è l’unico luogo in cui impariamo?

È nella continuità dell’esperienza di vita e dell’approccio esperienziale in un contesto formale che situamo la nostra riflessione. Osservando gli usi quotidiani delle tecnologie digitali e informatiche, ci siamo subito interrogati sulla qualità dell’apprendimento ottenuto da tali tecnologie. Numerose pubblicazioni e diversi commenti hanno suggerito una padronanza “spontanea” che trasformerebbe i giovani in esseri umani che padroneggiano la tecnologia digitale, oppure hanno criticato le pseudo-competenze portando all’idea che l’apprendimento spontaneo dei giovani non è rilevante per quanto riguarda le conoscenze necessarie per la padronanza complessiva dell’informatica e della tecnologia digitale. Questa opposizione ha portato a numerosi dibattiti nelle aule docenti ma anche negli ambienti universitari. Il problema di fondo è, infatti, “l’in-between”, vale a dire che tali usi non vengono fatti senza l’apprendimento e la padronanza delle competenze, ma che questi usi sono contestualizzati mentre i programmi formativi didattici tentano di inglobare le competenze il più delle volte in modo indipendente di contesti, o contesti lontani dalla realtà di alcuni giovani. L’altra difficoltà è legata al modo in cui il mondo scolastico ha organizzato da tempo la trasmissione e la valutazione delle conoscenze acquisite derivanti da tale trasmissione. L’unica esperienza consentita in un sistema tradizionale è quella di ricevere informazioni/conoscenze, e il loro riutilizzo in esercizi o nella memoria. La valutazione sotto forma di esercizi e di restituzione di informazioni/conoscenze non è sufficiente per l’acquisizione della conoscenza (definita conoscenza incorporata). Questo insegnamento può essere presentato come legato a contesti specifici che poco hanno a che fare con l’esperienza informale dei giovani. Alcuni saperi sono molto distanti dai contesti di vita, altri lo sono meno, ma il sistema scolastico lavora per mettere distanza tra i contesti di vita e i saperi valutati. Volersi quindi limitare all’insegnamento dell’informatica come contenuto disciplinare non può essere sufficiente a renderla una conoscenza utile nella vita sociale. Al contrario, il famoso “qual è lo scopo” dell’apprendimento diventa un leitmotiv che permette allo studente di dare semplicemente agli insegnanti ciò che si aspetta nelle valutazioni.

Per il riconoscimento dell’apprendimento esperienziale

Nel corso delle indagini-intervista realizzate all’inizio degli anni 2000, quando i primi standard del settore cercavano di imporsi a tutti (B2i, base comune, ecc.), si è alzato parte del velo che nasconde le realtà: i giovani imparano e sviluppare competenze attraverso la propria esperienza semi-formale o informale; ma queste competenze non corrispondono ai requisiti accademici decretati al livello più alto del sistema educativo (i programmi, ecc.). Gli insegnanti sono rimasti coinvolti in questa tensione, soprattutto perché loro stessi si sono confrontati con le proprie competenze digitali, la loro esperienza e il loro modo di svilupparle. Ricordiamo qui il desiderio dichiarato di sviluppare queste competenze tra gli insegnanti fin dal primo piano Informatique Pour Tous (IPT). Se guardiamo i piani formativi che si sono susseguiti negli ultimi quarant’anni e se li confrontiamo con la realtà delle pratiche d’aula, non possiamo che individuare problemi reali: da un lato, gli insegnanti si sono formati più da soli che attraverso strutture consolidate formazione, d’altro canto, le scelte di integrazione delle tecnologie digitali nelle pratiche didattiche e didattiche hanno avuto e hanno tuttora grandi difficoltà a esistere e svilupparsi all’interno delle strutture consuete dell’istruzione. Per dirla in altro modo, dopo più di quarant’anni, insegnanti e studenti vengono formati alla tecnologia digitale più attraverso le loro esperienze che all’interno di chiari quadri istituzionali.

I limiti dell’apprendimento da e attraverso l’esperienza.

Imparare a utilizzare un foglio di calcolo è un esempio caratteristico di limitazione dell’apprendimento esperienziale: quali sono i contesti di vita che possono portare all’utilizzo di tali strumenti? Perché il problema dell’esperienza è che si colloca in un contesto e l’apprendimento che lì può svilupparsi si articolerà in questi contesti. Inoltre, una delle difficoltà ricorrenti dell’apprendimento è passare dalla scoperta della conoscenza (conoscenza e implementazione appresa) alla sua appropriazione (conoscenza e implementazione familiarizzata). Per questo, i ricercatori specializzati nella memorizzazione hanno dimostrato l’importanza di evocazioni ricorrenti della conoscenza in situazioni (abilità) nel tempo per ancorare la padronanza di questa conoscenza. La moltiplicazione delle esperienze non è solo la moltiplicazione degli esercizi e degli allenamenti. Si tratta di consentire agli studenti, in un doppio movimento di inferenza induttiva e deduttiva, di costruire il significato della loro conoscenza e di renderla operazionalizzabile in varie (e nuove) situazioni. La semplice memorizzazione e restituzione a scuola non consente questa appropriazione se non si realizza un reinvestimento, in particolare al di fuori della scuola, in una varietà di contesti che permettano di consolidare in modo sostenibile l’apprendimento.

Per una pedagogia esperienziale

I problemi specifici posti dalla tecnologia digitale, e in particolare dai suoi ultimi sviluppi, dagli smartphone e dall’intelligenza artificiale, sono legati al trasferimento alle macchine di competenze di cui gli esseri umani non sono consapevoli e non possono diventarlo. Pertanto, imparare a guardare dietro lo schermo richiede una pedagogia dell’esperienza e della spiegazione. Ognuno di noi, infatti, per esperienza, percepisce facilmente che le tecnologie facilitano molte attività umane quotidiane. L’eliminazione dei mezzi digitali rivela il potere della loro facilitazione: nell’insegnamento, nell’apprendimento e nella vita quotidiana. Una pedagogia esperienziale presuppone che ci allontaniamo da una visione cumulativa della conoscenza e ci muoviamo verso un approccio integrativo e situato. Questa pedagogia purtroppo non è attualmente possibile, poiché le rivendicazioni dei responsabili si concentrano su modelli vecchi ed elitari. Tuttavia, il mondo digitale ha creato un’aspettativa e un bisogno di nuove forme educative nella società. Si sarebbe potuto pensare che le riflessioni svolte in questo ambito, soprattutto a partire dal lavoro di Guy Vincent e dei suoi colleghi, avrebbero portato a cambiamenti fondamentali. Ciò non è avvenuto, e si continua a fare “nuovi programmi” senza tener conto delle trasformazioni della società… Anche questo forse fa parte della disaffezione per le professioni della trasmissione che osserviamo in numerosi paesi….

Bruno Devauchelle

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